C’era una volta la serie classica, quella di Colombo e di Jessica Fletcher. In un’ora di trasmissione si scopriva una storia, sempre diversa ma con un’unica costante: un omicidio, il morto e i protagonisti che risolvevano facilmente il caso intuendo l’assassino, l’arma del delitto e il movente. Chi non vorrebbe giocare a Cluedo con Jessica Fletcher? La struttura di questi prodotti era sempre la stessa: poche (ma buone!) informazioni che orientassero lo spettatore nella visione e nella comprensione della puntata. Dagli anni ’80, però, si è iniziato a pensare alla serialità come qualcosa di continuo, un appuntamento fisso che i telespettatori (americani nella fattispecie) ogni settimana non potevano perdere: la lezione della soap aveva quindi impartito i suoi dettami alla serie.
Per dirla in parole semplici: se Grey’s Anatomy è la serie che è, è anche merito di Sentieri e Beautiful.
Alla struttura della puntata si aggiungono le storie dei personaggi, le loro vite private, gli intrecci sentimentali che arricchiscono la trama e fissano il telespettatore settimana dopo settimana per un appuntamento imperdibile. Il primo caso di serie serializzata è Hill Street giorno e notte (genere poliziesco in onda dal 1981 al 1987) che presenta, per la prima volta, l’approfondimento dei protagonisti con un focus sulla loro vita privata, avvicinandosi così al filone delle soap pur mantenendo la propria coerenza di genere.
La televisione è stato quindi il primo mezzo a portare sul video questo tipo di linguaggio (ad usarne ed abusarne), creando dipendenza a chi, come molti, ha seguito le complicate vicende di Lost, i primi amori tra i banchi di Dawson’s Creek e le feste di The OC, si è appassionato al plot avvincente di Game of Thrones e Breaking Bad.
Con la digitalizzazione, reperire le puntate è stato ancora più semplice e alla portata di tutti. Non si aspettano più i comodi dei palinsesti televisivi e le serie preferite si scaricano (illegalmente, in streaming!) abbuffandosi così ovunque e usando qualsiasi supporto, dal pc al tablet passando per lo smartphone.
Quindi anche la serialità ha cambiato le sue caratteristiche e, pur conservando alcuni capisaldi come la storia ad intreccio, sono cambiati i linguaggi e la struttura: dalla ripetitività dei prodotti televisivi siamo giunti a nuove forme, più libere e meno condizionate dalle logiche di palinsesto. Quindi Netflix e Amazon Prime Video, sono solo alcune delle piattaforme che producono tante nuove serie le cui puntate vengono rilasciate tutte insieme, dando l’opportunità agli spettatori di fare binge-watching, ovvero guardare un episodio dietro l’altro.
Così è cambiato l’articolazione della puntata, con particolare premura nel tenere lo spettatore incollato allo schermo durante i secondi finali, invogliandolo a proseguire la visione fino ad esaurimento scorte e portandolo a disperarsi fino al rilascio della stagione seguente.
Certo, questo accadeva ancor prima dell’arrivo di Netflix&co. Milioni di telespettatori hanno aspettato mesi prima di scoprire chi tra Izzie e George morisse alla fine della quinta stagione di Grey’s Anatomy e come potesse andare avanti Sex and the City dopo che, alla fine della prima stagione, Big aveva lasciato Carrie. Con la release dei dvd chiunque poteva guardare tutte le puntate della sua serie preferita in una giornata ma, diciamolo, non era di tendenza anzi era quasi una vergogna ammetterlo.
Ora invece fare binge-watching è la normalità. Un vanto. È diventata la fruizione prediletta: guardare puntate su puntate, non uscire per giorni, evitare i social network per non incappare in spoiler di chi, neofita, non sa che è un bene (un dovere etico-morale!) aspettare qualche giorno prima di rivelare dettagli importanti.
Una volta non dispiacevano persino le puntate che deviavano dal corso della storia, che un po’ stonavano con la trama principale, i cosiddetti filler che, a loro modo, in vesti meno consuete e più stravaganti, davano modo di conoscere ancora meglio i propri beniamini (come dimenticare l’episodio musical di Buffy o i voli pirotecnici di Scrubs).
Ora invece si predilige la storia: non fa niente se lenta e, a tratti, noiosa. L’importante è che, a fine episodio, ci sia quel quid che invogli alla visione del contenuto successivo («che partirà tra 4 secondi…»). Per poi dimenticarsi i nomi di alcuni personaggi ma, poco male. Sarà comunque da postare su Facebook come la serie più bella mai vista, fino alla prossima serie che Netflix promuoverà e rilascerà e che diventerà, inevitabilmente, la nuova serie più bella mai vista.
Ed è un peccato che serie veramente degne di note, nate e morte in tv, siano poco conosciute dalle nuove generazioni che gridano al capolavoro con estrema facilità. Per fortuna le stesse piattaforme OTT ospitano anche questi prodotti eccellenti che possono quindi godere di una seconda vita, come The Good Wife e Mad Men solo per citarne due.
Prodotti versatili che bene si incastravano nella logica del mezzo televisivo, con intermezzi pubblicitari e pause di settimane (o anche mesi) e che, allo stesso tempo, bene si sposano ai cataloghi di Netflix&co, con una fruizione continua, senza interruzioni di racconto, in un flusso unico di stagioni e puntate. Stranger Things, Sense8, Tredici, Orange is the new black, probabilmente, non avrebbero incontrato l’odierna fortuna se fossero state mandate in onda in un broadcast che le propinava tra una pubblicità e l’altra seguendo la logica del canonico episodio settimanale. Magari sarebbero andate in onda per poche puntate, disorientando lo spettatore abitudinario che sarebbe tornato al classico procedurale (tipo Criminal Minds) perdendosi il loro effettivo potenziale. La serialità è cambiata ma la televisione non è morta, ancora tanti prodotti funzionano e appassionano milioni di persone.
Oggi c’è spazio per tutto e allo spettatore-fruitore non resta che scegliere nel mare magnum dell’offerta e, perché no, scoprire perle del passato che non hanno niente da invidiare ai nuovi prodotti. I nuovi prodotti che, dalla loro, hanno il fatto di essere attuali e disposti a trattare tematiche prima considerate tabù ma che non hanno, di certo, inventato il genere.
Giacomo Riccieri