Il 2017 si è chiuso con un notevole aumento dei flussi migratori provenienti dalla Tunisia. Negli ultimi quattro mesi dell’anno circa 4000 tunisini hanno raggiunto il nostro Paese, facendo registrare un dato di quattro volte superiore a quello dello stesso periodo dell’anno precedente.

I dati raccolti nel primo trimestre del 2018 sembrano confermare questo trend con l’arrivo sulle nostre coste di più di mille persone di nazionalità tunisina. Sebbene questi numeri non siano paragonabili ai dati sull’immigrazione irregolare degli ultimi anni, devono comunque essere considerati un sintomo preoccupante del malessere di una comunità – quella della Tunisia – che appena sette anni fa dava coraggiosamente vita alle proteste che avrebbero infiammato la regione del Nord Africa e del Medio Oriente.

Il 17 dicembre 2010 la morte di Mohamed Bouazizi, giovane disoccupato che si diede fuoco per protesta contro il regime di Ben Ali, diede inizio a quella che i media definirono come “la Rivoluzione dei Gelsomini”. La rivolta di un popolo oppresso da altissimi livelli di disoccupazione, povertà diffusa e repressione politica portò alla caduta del regime di Ben Ali e all’inizio di un processo di democratizzazione.

Sono passati più di sette anni da quel giorno, ma i fragili governi che si sono susseguiti non sono ancora riusciti a mantenere le promesse di quei giorni rivoluzionari.

Livelli altissimi di disoccupazione, che tra i giovani arriva al 35%, il declino degli investimenti diretti esteri – che sono passati dal 5,8% nel 2008 all’1,7% nel 2016 – e il declino del settore turistico a causa della minaccia del terrorismo di matrice islamica hanno messo in ginocchio la Tunisia, che negli ultimi mesi è tornata a vivere momenti di forte tensione politica. Il 2018 si è infatti aperto con un’ondata di proteste popolari che ha portato a centinaia di arresti e una vittima tra i manifestanti.

Ad aggravare la situazione del Paese contribuiscono sicuramente le misure di austerity introdotte dal governo per poter beneficiare di un prestito di quasi 3 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale.

L’apertura di una nuova rotta mediterranea con partenza dalle coste della Tunisia non sembra quindi essere semplicemente una conseguenza della “chiusura” della rotta libica.

La drastica diminuzione degli sbarchi in Italia è principalmente una conseguenza dell’accordo Italia-Libia, un memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo del contrasto all’immigrazione irregolare firmato dai due Paesi nel febbraio dell’anno scorso.

L’accordo, però, non propone soluzioni di lungo periodo alla precaria situazione del mediterraneo ed è quindi ipotizzabile una futura riconfigurazione dei flussi con partenza da altri Paesi le cui coste sono attualmente meno sorvegliate.

Il caso degli sbarchi provenienti dalla Tunisia, però, non sembra rientrare in questa ipotesi. Mentre la maggior parte dei migranti arrivati in Italia attraverso la rotta libica provenivano da Paesi dell’Africa sub-sahariana, i nuovi flussi sono composti in maggioranza da tunisini.

Questo dato conferma l’ipotesi sulla correlazione tra instabilità socio-economica della Tunisia e ripresa dell’immigrazione proveniente da questo Paese. Il fenomeno riguarda principalmente giovani, provenienti da zone del Paese svantaggiate – la Tunisia si presenta infatti come uno Stato dalle forti diseguaglianze regionali, dove il sud del Paese soffre di gravi carenze infrastrutturali e nei servizi – e spesso anche istruiti, date le poche possibilità che offre attualmente il mercato tunisino ai suoi laureati.

Alle difficoltà economiche del Paese si aggiunge una diffusa sfiducia verso la possibilità di un reale cambiamento in senso democratico della Tunisia. Lo “stato di emergenza” proclamato per rispondere al rischio di attentati jihadisti, che ha giustificato la concessione di poteri eccezionali alle forze dell’ordine, insieme alla diffusa percezione di alti livelli di corruzione completano il quadro di un popolo che ha visto tradite le promesse della “rivoluzione democratica” e che, molto spesso, vede solo nella migrazione una possibilità di riscatto.

L’immigrazione tunisina rappresenta un problema per la sicurezza dell’Italia?

Sembra ormai impossibile scindere il fenomeno dell’immigrazione dall’agenda sulla sicurezza degli stati europei. La ripresa dei flussi dalla Tunisia non rappresenta un’ eccezione a questo trend. A preoccupare il nostro governo è sopratutto l’alto numero di persone radicalizzate presenti in Tunisia.

È però da escludere la correlazione tra ripresa degli sbarchi e l’amnistia concessa ad alcuni detenuti dal presidente Essebsi, ipotizzata inizialmente dai media italiani. Il provvedimento, concesso ogni anno a detenuti condannati per reati minori e quindi non collegabili ad attività terroristiche, non coprirebbe i numeri delle persone partite negli ultimi mesi. Si parla infatti di circa 1500 persone di cui però solo un terzo sono stati attualmente rilasciati.

Marcella Esposito

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