Trieste è bella di notte
Fonte: pixabay.com

Migranti e accoglienza in Italia, una delle tematiche più urgenti nello scenario contemporaneo che divide politici e opinione pubblica da circa un decennio. È proprio questa la questione su cui si riflette nel film documentario Trieste è bella di notte di Matteo Calore, Stefano Collizzolli e Andrea Segre, prodotto da ZaLab e Vulcano in anteprima online dal 22 gennaio e in sala dal 23 gennaio 2023.

Da ormai quasi dieci anni espressioni del tipo “crisi dei migranti”, o la sua variante “crisi dei rifugiati” sono entrate nel lessico comune. È infatti dal 2013 che uomini e donne di diversi paesi hanno cominciato a lasciare le loro terre incamminandosi nel viaggio della speranza che, nei casi più “fortunati”, li ha condotti alle porte della tanto accogliente Unione Europea. In questo contesto l’Italia è stata una delle protagoniste più attive nell’accoglienza dei migranti, così che i politici hanno potuto dar sfogo alla propria fantasia proponendo soluzioni convenienti al fine di accogliere al meglio queste persone. L’Italia è stata così brava ed efficiente ad accogliere tutti coloro in cerca di asilo da suscitare spesso negli italiani astio, talvolta persino odio, verso “gli stranieri”, i “privilegiati dal Governo”, accolti e accuditi persino meglio degli italiani stessi. Di conseguenza, a un certo punto si è sentita l’esigenza di mettere prima gli italiani, per cui sulle storie dei migranti, ma soprattutto sulle leggi che regolano il loro ingresso nel Bel Paese, si è cercato di tacere.

Trieste è bella di notte
Fonte: zalab.org

La regola del silenzio vale anche per il caso delle operazioni definite dal Ministero dell’Interno “riammissioni informali”, sulle quali si vuole attirare l’attenzione in Trieste è bella di notte. Il film è nato con l’intenzione di dare voce a storie che altrimenti sarebbero rimaste inascoltate e, offrendo entrambi i punti di vista, quello dei politici e quello dei migranti, si pone l’obiettivo non di dare risposte e soluzioni, piuttosto quello di farsi domande, stimolare le sinapsi e rivolgere l’attenzione a tematiche tenute nascoste.

La storia è un intreccio corale di spazi e tempi, memorie e speranze, un continuo alternarsi di spazi temporali e geografici. Un po’ più in là di Trieste, a confine con la Slovenia, ogni giorno un numero indefinito di persone si affaccia sulla città per chiedere protezione internazionale. Dopo giorni, a volte mesi, di cammino i migranti arrivano al confine, la loro meta e fonte di una speranza così forte che la sola vista della città li travolge di gioia. Come afferma un testimone:

«Per me il momento di maggiore felicità è stato quando abbiamo attraversato il filo spinato dalla Slovenia. In quel momento dalla montagna si vedevano le luci della città nell’acqua. Vederle è stato un momento di grande felicità nella mia vita. Dal confine, dall’alto, di notte Trieste è molto bella».

Trieste è bella, è il simbolo della speranza, è la meta di tantissime persone che non vedono l’ora di ricominciare a vivere.

Ma Trieste è altrettanto triste. Le luci della città che di notte la fanno brillare, e insieme a lei brillano di speranza gli occhi dei richiedenti asilo, si spengono troppo in fretta e quello che sembrava un sogno si tramuta nel suo contrario: ancor prima di mettere piede sul suolo italiano e senza nemmeno rendersene conto, senza essere assistiti o quanto meno ascoltati, vengono rispediti in blocco nei paesi d’origine. I migranti si trovano intrappolati in quello che viene definito il game, un ciclo infinito in cui queste persone vengono sballottolate lungo la rotta balcanica.

Questa pratica che trasforma la vita delle persone in un pacco da rendere al mittente senza rimborso, prende il nome di “riammissione informale”, una delle introduzioni del Governo dello stivale tra le più controverse in materia di accoglienza migranti, che oscilla tra la legge e l’illegalità e nei confronti della quale neppure i politici sanno bene che posizione prendere.  

Le riammissioni informali sono delle pratiche di controllo del flusso migratorio che prevede il “reso” dei migranti ai paesi di provenienza senza se e senza ma. Sono state introdotte per la prima volta nel 2020, in piena pandemia, quando gli occhi e le orecchie del mondo intero erano, non a caso, puntati tutti sui pipistrelli cinesi e il temuto virus creato in laboratorio. Sospese nel 2021 perché considerate illegali dal Tribunale di Roma, queste pratiche sono state reintrodotte dal ministro Piantedosi lo scorso 28 novembre. Nonostante la reintroduzione di tali procedure sia bella fresca, se ne è parlato molto poco pubblicamente, quasi per nulla. Come mai questo silenzio? Il Bel Paese, tanto caldo e accogliente non vuole sporcarsi la faccia? Eppure, se pratiche del genere sono state reintrodotte vuol dire che non vengono più compiute in maniera non conforme alla legge, o non è così?

“Nel caso in cui un migrante manifesti l’intenzione di chiedere protezione internazionale, non viene riammesso”, afferma il prefetto Annunziato Vardè, e nel momento in cui gli viene chiesto se per un certo periodo questo sia avvenuto, la risposta è decisamente elusiva: “Questo, sinceramente, dagli atti non risulta”. Ma le immagini registrate con i cellulari dei migranti dicono, senza alcun dubbio, il contrario.

Con questo film documentario i registri hanno voluto indagare cosa si nasconde dietro la maschera di paese aperto, democratico, inclusivo e tollerante, per rendere giustizia a quelle vite alle quali non è stato dato valore e alle quali è stato negato addirittura il diritto di essere ascoltare. Mettendo insieme le immagini registrate dai cellulari dei migranti con le dichiarazioni ufficiali dei rappresentanti al governo, e accompagnate dalla musica prodotta o ascoltata dalle stesse persone alle quali si vuole dare voce, è stato realizzato un film definito neorealista. L’idea di una produzione amatoriale forse funziona proprio perché vera e perché rende il film molto intimo e forte.

Di certo, non è un film per tutti, ricco di suggestioni e punti di domanda, che smaschera le ipocrisie e le contraddizioni di un sistema fin troppo complicato in cui gli stessi politici sembrano perdersi.

Nunzia Tortorella

Avida lettrice fin dalla tenera età e appassionata di ogni manifestazione artistica. Ho studiato Letterature e culture comparate all'università di Napoli L'Orientale, scegliendo come lingue di studio il tedesco e il russo, con lo scopo di ampliare il mio bagaglio di conoscenze e i miei orizzonti attraverso l'incontro di culture diverse. Crescendo, ho fatto della scrittura il mio jet privato.

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