Risale a pochi giorni fa la manifestazione di più di 30 delegazioni internazionali di Amnesty International dinanzi le ambasciate della Turchia sparse per il mondo, per protestare contro l’ingiusta incarcerazione di dieci attivisti turchi avvenuta per mano del governo di Erdogan.
A quasi un anno dal tentato golpe di stato in Turchia, Erdogan non sembra ancora disposto a ristabilire lo stato di diritto contenuto nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo rilasciata dall’ONU nel 1946. Le forze giudiziarie avrebbero arrestato dieci membri di Amnesty International Turchia, con l’accusa di far parte di una cellula terroristica armata guidata dal politologo e predicatore Fethullah Gülen, autoesiliatosi in Pennsylvania in seguito alle accuse del presidente Erdogan che lo aveva individuato come responsabile del tentato golpe della scorsa estate.
I dieci attivisti di Amnesty Interntional si trovavano in realtà a un corso di aggiornamento sulla sicurezza informatica, seguiti da due formatori stranieri, uno tedesco e uno svedese, quando la polizia ha fatto irruzione all’interno dei locali arrestandoli senza sporgere accuse di carattere formale e soprattutto senza permettere agli attivisti di incontrare i propri legali.
Fra i detenuti dei quali attualmente non si hanno più notizie: la direttrice di Amnesty International Turchia İdil Eser, traduttrice, giornalista freelance e autrice del libro Lo sviluppo globale e le forze del mercato; İlknur Üstün, laureatasi in filosofia ad Ankara, è la coordinatrice di numerosi gruppi per il rispetto dei diritti delle donne, oltre che studiosa delle politiche di genere della capitale; Günal Kurşun, avvocato e membro dell’Associazione dell’Agenda dei Diritti Umani; Nalan Erkem, avvocato, ha preso parte a numerosi progetti di monitoraggio e lotta contro il reato di tortura perpetuato all’interno di istituzioni pubbliche; Nejat Taştan, attivista per i diritti umani da trent’anni, particolarmente importante il suo contributo nel 2011 per il monitoraggio delle elezioni contro brogli elettorali e tentativi di compravendita dei voti; Özlem Dalkıran, nota scrittrice turca e campaigner dei diritti umani; Şeyhmuz Özbekli, giovane avvocato impegnato nella lotta per la difesa dei diritti umani; Veli Acu, associato al programma mondiale alimentare dell’ONU, studente e militante all’interno di Amnesty da anni.
Con tutti loro sono stati incarcerati anche i due formatori stranieri, motivo forse delle pressioni dell’Europa a Erdogan per la scarcerazione immediata di tutte le persone coinvolte: Ali Gharavi, scrittore iraniano-svedese laureato in ingegneria informatica e consulente esterno per il seminario, e Peter Steundter, fotografo e documentarista laureato in scienze politiche a Berlino, ha preso parte a numerosi progetti sugli effetti della digitalizzazione sui corpi e la psiche degli individui.
Salil Shetty, Segretario Generale di Amnesty International, dichiara:
«Non rimarremo a guardare mentre rispettate personalità nel campo dei diritti umani vengono messe in carcere per accuse insensate, nel chiaro velenoso tentativo di intimidire le coraggiose voci critiche della Turchia che rifiutano di rimanere zitte. Mentre sono dietro le sbarre, noi manifesteremo per loro. Mentre sono imbavagliati, parleremo per loro.»
Amnesty International non sembra voler tacere rispetto le ingiustizie perpetuate dal governo di Erdogan nell’ultimo anno e non è difficile immaginare che forse, proprio per questo motivo, il governo turco stia cercando di intimidire la ONG con tutti i mezzi giuridici di cui dispone.
Il rapporto annuale 2016/2017 sulla Turchia stilato dalla ONG non la dipinge sicuramente come un Paese dallo spirito democratico rispettoso dei diritti umani. Le denunce per reati di tortura risultano aumentate; per quanto riguarda l’assetto costituzionale, dalla notte successiva al tentato golpe, la Turchia si trova in quello che Erdogan definisce “stato di emergenza”, il che ha permesso al presidente di ignorare la Costituzione molteplici volte: più di 40.000 funzionari pubblici sono stati arrestati senza nessun tipo di accusa formale, processo o assistenza giuridica, centinaia di persone sono state sfollate al sud-est del Paese a causa del coprifuoco e degli scontri tra l’esercito e il gruppo armato del PKK. A ciò si aggiunge la situazione all’interno delle carceri, dove minori, presunti ribelli, giornalisti e intellettuali sarebbero malmenati e malnutriti.
Il presidente Erdogan non ha ancora rilasciato nessun tipo di dichiarazione circa la vicenda, ma la situazione in cui versa la Turchia in quest’ultimo anno sembra essere molto più esplicativa delle parole non pronunciate dal Presidente.
Altrettanto assordante è il silenzio dell’Europa dinanzi a tali violazioni dei diritti umani, un silenzio probabilmente tristemente legato non solo al ruolo strategico giocato dalla Turchia nel conflitto siriano e nel conflitto iracheno, ma anche all’accordo firmato dalla stessa Unione Europea e da Erdogan lo scorso marzo, rispetto la regolazione del traffico di migranti turchi in Europa.
Sara Bortolati