Lo scorso agosto è avvenuto qualcosa di straordinario per la Colombia e i suoi abitanti, destinato a cambiare per sempre – e in positivo – il destino dello Stato latinoamericano, per lungo tempo teatro di violenze fra i ribelli e il potere costituito: l’accordo di pace fra il governo di Bogotà e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, meglio note come FARC.
Non è stato un processo veloce, né tantomeno indolore, ma il giorno dell’annuncio del presidente Juan Manuel Santos migliaia di persone si sono riversate nelle piazze per festeggiare la buona notizia.
Il documento finale è giunto dopo circa 4 anni di negoziati fra le parti, svoltisi all’Avana, durante i quali si è assistito a un progressivo ridimensionamento degli scontri, sino al definitivo cessate il fuoco del mese scorso.
L’accordo – formalizzato dal capo della delegazione governativa Humberto de la Calle e da Ivan Marquez, capo negoziatore per le FARC, sotto l’egida del ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez – prevede, anzitutto, una riforma agraria, accompagnata da un’azione congiunta contro il narcotraffico. È stato garantito, inoltre, il reinserimento degli ex guerriglieri nella vita politica e sociale del paese.
È quest’ultima forse la soluzione più lungimirante che, lungi dal cancellare i misfatti del passato – saranno creati infatti dei tribunali speciali per la gestione del periodo successivo al conflitto – tende una mano agli ex ribelli, scegliendo la strada della riabilitazione in luogo di quella dell’odio e della vendetta.
I numeri del conflitto restano tuttavia impietosi: le oltre 260 mila vittime, i 60 mila desaparecidos e i quasi 7 milioni di sfollati rendono alla perfezione l’idea dell’atmosfera che il paese di García Márquez ha dovuto sopportare per più di 50 anni.
Adesso l’incubo sembra finito, nonostante manchi ancora l’ufficialità dell’accordo, che dovrà essere ratificato dal referendum popolare del prossimo 2 ottobre.
Il prossimo fine settimana, invece, si svolgerà il decimo convegno delle FARC, il primo aperto al pubblico, giornalisti compresi, durante il quale i delegati del gruppo ratificheranno il documento di pace, dismettendo così per sempre le armi.
A prescindere dal futuro politico del gruppo, che continuerà probabilmente a vivere sostenendo le proprie idee senza il ricorso alla lotta armata, sarà molto importante il sostegno materiale e psicologico degli ex guerriglieri, alcuni di questi molto giovani e dunque senza alcuna esperienza di vita nella società civile.
A tal fine, sarà necessario il massimo impegno del governo, che dovrà, paradossalmente, porsi dalla parte degli ex ribelli di fronte al popolo, che sulle prime, comprensibilmente, potrebbe fare molta fatica ad accogliere i responsabili del clima di terrore che sino a poco tempo fa si è respirato nel paese.
È molto difficile prevedere come andrà, ma oggi è il tempo degli applausi, sia per i combattenti, che hanno capito che la violenza non è mai la soluzione, sia per lo Stato colombiano, che ha cercato il compromesso nonostante le tante vittime innocenti e i duri colpi subiti, dimostrando che il dialogo è l’unica strada per la pace.
Carlo Rombolà