Un omino minuto, con indosso una bombetta che invano dà parvenza di un’allegria illusoria, irrimediabilmente discordante con il volto onirico, somigliante a quello di un clown, strambo e velato di profonda malinconia allo stesso tempo, i cui occhi, contornati di nero, nell’infruttuoso tentativo di celare l’intima angoscia, indossano la più faticosa delle maschere: l’ilarità. Questo il ritratto di uno dei più celebri attori  del cinema muto, e non solo, che diede lustro all’epoca d’oro del cinema di Hollywood: Charlie Chaplin.

L’artista, già all’inizio della sua carriera, diede vita ad uno dei personaggi comici più stravaganti e bizzarri, ma, al contempo più drammatici, che la settima arte avesse mai visto come protagonista sui suoi schermi: Charlot. Soprannominato anche “il vagabondo”, divenne una sorta di manifesto della realtà americana durante gli anni ’20 e ’30.  Con la sua aria malmenata, goffa e impacciata,  dai toni vagamente decadenti, l’innocente ingenuità, la disarmante genuinità accompagnata da un’apparente furbizia, Charlot incarna il classico tipo di “reietto della società”, che si fa carico delle mille sfortune che gli accadono, indotto a fronteggiare sempre eroicamente i soprusi che la vita gli pone davanti, rappresentante della classe sociale operaia, perennemente vittima e preda dell’ingordigia sfrenata di denaro, tipica dei ceti sociali più ricchi e abbienti.

charlie chaplin

“L’uomo è un animale addomesticato che per secoli ha comandato sugli altri animali con la frode, la violenza e la crudeltà.”

Satira e tragedia sono gli elementi peculiari di Charlot che percorrono i lungometraggi di cui egli è protagonista: da “Vita da cani” a “La febbre dell’oro”, da “Il vagabondo” a “Tempi moderni”.

L’esordio sul grande schermo avvenne nel 1914, con “Charlot ingombrante”, ma Charlie Chaplin ascenderà ai vertiginosi vertici del successo con film come “Il monello” e, in particolare, “La febbre dell’oro”.  L’attore, tuttavia, mal accoglie l’avvento del cinema sonoro che getta le basi nella metà degli anni ’20; lui, che aveva elevato a supremo mezzo d’espressione la gestualità pantomimica del corpo, i suoi movimenti, i suoi comportamenti, la sua espressività, affermava, infatti:

“Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca.”

Il 1931 è l’anno in cui viene proiettato il lungometraggio “Tempi moderni”, che meglio esprime l’alienazione che un operaio di fabbrica è costretto a subire, quando svolge il suo lavoro, ripetendo in modo fantomatico e meccanico sempre gli stessi gesti, fino ad impazzire.charlie chaplin

«All’inizio Charlot simboleggiava un gagà londinese, finito sul lastrico. All’inizio lo consideravo soltanto una figura satirica. In “Tempi moderni” nella mia mente, i suoi indescrivibili pantaloni rappresentavano una rivolta contro le convenzioni, i suoi baffi la vanità dell’uomo, il cappello e il bastone erano tentativi di dignità, e i suoi scarponi gli impedimenti che lo intralciavano sempre»

Tuttavia, Charlie Chaplin solo nel 1940 esperì il cinema sonoro con il suo capolavoro cinematografico “Il grande dittatore” che vedeva al centro della pellicola la parodia irriverente e canzonatoria della figura del fuhrer in contrasto con gli echi di un’esistenza semplice, genuina e fatta di stenti di un barbiere ebreo che, per scherzo del destino, era il sosia di Adenoid Hynkel che nel film incarna proprio il grande dittatore. Memorabile il discorso finale:

“L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abbiette. Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l’avidità ci ha resi duri e cattivi; pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità; più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto.”

charlie chaplin
Charlie Chaplin ha lasciato al cinema mondiale un’incommensurabile e universale eredità.

“La maschera di Charlot tocca il massimo assoluto della spontanea capacità inventiva e, nello stesso momento, il minimo assoluto dell’impegno pre-determinato, cioè della finalità politica. Per questo ha toccato il cuore del mondo sulla ingiusta sorte dei diseredati e degli emarginati, ha contribuito ad imporre alle classi politiche il dovere di una nuova giustizia sociale con efficacia incomparabilmente maggiore di quella che possono avere conseguito, tutti insieme, tutti i film socialmente «impegnati» di tutta la storia del cinema.”

Clara Letizia Riccio

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