Un omosessuale di mezza età, fino a trent’anni fa circa, poteva dirsi malato mentale. Oggi, la stessa persona può ancora dirsi in pericolo dinanzi a una società che, forse troppo lentamente, sta cambiando e in uno Stato, come quello italiano, che ancora trova difficoltà nell’adempiere al suo dovere primario: tutelare i suoi cittadini, garantirne il benessere e l’uguaglianza, «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (ART.3 della Costituzione). Se festeggiare una volta all’anno la propria nascita non può bastare a ricordarci di vivere la nostra vita, ugualmente il 17 maggio, durante la giornata contro l’omofobia, non può bastare una mera memoria a ricordare che è necessario un intervento mirato ed efficace che parta dall’alto, ora in particolare dal DDL ZAN, per sostenere i discriminati e favorire la loro libertà.
Era Il 17 maggio 1990, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità depennava l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. È dal 2007 invece, che quella data è stata scelta in Europa per celebrare la giornata contro l’omofobia, transfobia, bifobia e lesbofobia. L’intento è quello di combattere ogni tipologia di discriminazione, ma il traguardo è purtroppo ancora lontano su numerosi versanti e l’Italia, al momento, è in coda ai paesi europei in ambito di tutela nei confronti degli omosessuali.
In ambito giuridico, lavorativo, scolastico, familiare, sociale e culturale, infatti, l’omosessualità continua a essere il motivo in virtù del quale molte persone subiscono discriminazioni, licenziamenti, ostracismi, bullismo, violenze e, in casi estremi, pervengono alla morte per mano propria (suicidio) o altrui. Secondo un’indagine condotta nel Lazio dal centro Gay Center, quasi il 10% degli studenti crede ancora che l’omosessualità sia qualcosa di negativo. Quasi il 25% invece la considera come una scelta o stile di vita. Lo stesso Gay Center ha inoltre condotto nell’aprile 2020, in seguito all’isolamento da Covid-19, un’indagine su un campione di 2445 persone del mondo LGTB. Dall’analisi è risultato che 1 persona su 3 ha problemi di accettazione e ha subito discriminazioni dalle persone con cui vive. I dati si aggravano per gli under 18: più del 50% si sente privo di supporto in famiglia, e ha subito episodi di discriminazione di varia intensità e tipologia: verbale, fisica, psicologica.
Partendo dai più recenti e ben noti casi di cronaca fino ai primi anni del nuovo millennio (si potrebbe andare a oltranza), sono numerosissime le persone vittime di omofobia e misoginia. Esemplare è il caso di Malika, ragazza fiorentina cacciata di casa e umiliata dai suoi stessi familiari per il proprio orientamento sessuale; oppure Jean Pierre, rifugiato dal Nicaragua in quanto omosessuale, aggredito fisicamente da uno scellerato omofobo nella metropolitana romana. Malika e Jean Pierre non sono di certo i soli. A condividere con loro un comune destino di discriminazioni si aggiungono, transessuali, donne e disabili. In loro soccorso, dunque, si propone di intervenire il DDL ZAN: un intervento giuridico che riguarda non solo le vittime, ma tutti i cittadini che tengono a cuore una convivenza sociale libera e pacifica.
Può, dunque, semplicemente bastare il 17 maggio, giornata contro l’omofobia, a combattere tutto questo? Per quanto fondamentale sia, è evidentemente che la risposta è negativa. Ancora, però, ci si perde a discutere se sia o meno necessaria l’approvazione del DDL ZAN. Intanto la situazione è la seguente: «In Italia sarebbero oltre 50 ogni giorno le persone che subiscono discriminazione e violenza, secondo quanto riferito da Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center».
Cambiare non è, probabilmente, mai stato semplice, ma ora più che mai si rende necessario un mutamento di cui lo Stato deve farsi carico. In tale prospettiva, il DDL ZAN costituisce un valido alleato mediante le «misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». Approvarlo vuol dire riconoscere un problema, dargli un nome dinanzi alla legge e debellarlo in maniera mirata.
Il DDL ZAN, dunque, non può essere altro che un importante passo in avanti, non solo per le vittime dei reati d’odio, ma per tutti i membri di uno stato che vuole dirsi civile e sicuro. Ancora troppe persone portano sul corpo i segni di violenze gratuite e immotivate. Troppi, ancora, temono di manifestare il proprio amore per persone dello stesso sesso. Altrettanti sognano di poter sognare liberamente e sentirsi a casa nel proprio paese.
Alessio Arvonio