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Elezione Trump, l’Islam che ha detto sì al tycoon

A quasi una settimana dall’elezione del presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump è ancora il protagonista indiscusso di numerosi dibattiti, articoli e approfondimenti. Alla ricerca di una spiegazione per l’inaspettato successo di Trump su Hillary, si avvicendano analisi e commenti sulla chiave di vittoria del neo-presidente americano. Senza, tuttavia, rifuggire da banalizzazioni.

Alcune testimonianze, infatti, sono state poco analizzate, per lo meno dai mass media italiani. Gli elettori di Donald Trump non sono soltanto i maschi “bianchi” americani del ceto medio impoverito e deluso dalle vecchie classe dirigenti. Al contrario, c’è anche una parte di musulmani – immigrati e non – che ha detto sì al tycoon e ha creduto in lui. La cosa può sembrare abbastanza strana, dal momento che lo scorso dicembre Donald Trump aveva dichiarato che avrebbe impedito a qualunque musulmano di entrare negli Stati Uniti: «Fino a che non siamo capaci di definire e capire questo problema e la pericolosa minaccia che esso pone, il nostro paese non può essere vittima di orrendi attacchi da parte di gente che crede soltanto nella Jihad e che non ha senso della ragione o rispetto per le vite umane».

Una di queste è Asra Q. Nomani, giornalista e saggista indiana arrivata in America durante la sua infanzia e ormai naturalizzata statunitense. Asra è il prototipo della “non-elettrice” di Trump: immigrata, musulmana, donna e attivista femminista. Eppure ha votato Trump. Ha esitato a lungo prima di palesare la sua scelta, per paura di essere giudicata. Alla vittoria di Trump, poi, scrive una lettera pubblicata sul Washington Post il 10 novembre in cui spiega le proprie ragioni: prima fra tutti, quella economica. Asra è una madre single che fa fatica ad arrivare alla fine del mese e per la quale l’Obamacare non ha risolto il problema di come pagare l’assicurazione sanitaria.

Ma non si tratta solo di questo: «Io stessa respingo la triade odio, divisioni e ignoranza. Ho sempre sostenuto le posizioni del partito democratico in materia di aborto, di matrimonio omosessuale e di cambiamento climatico. Mi ritengo una musulmana liberale che ha vissuto, in prima persona, l’estremismo islamico. Ma non ho condiviso l’atteggiamento di Barack Obama nei confronti del terrorismo islamico». Alla base, dunque, c’è l’atteggiamento timido di Obama nei confronti del problema del terrorismo, mentre la dichiarazioni di Trump avrebbero instillato un senso di sicurezza e maggior autorevolezza nell’affrontare il problema. E soprattutto c’è il fatto che Clinton è la diretta erede dell’amministrazione Obama e che alcune donazioni arrivate alla sua fondazione provenivano proprio da Arabia Saudita, Kuwait, Qatar. Cosa, quest’ultima, che ha definitivamente fatto pendere la bilancia da parte di Trump.

Del resto, Asra Nomani non è stata la prima musulmana a far palese il proprio voto per Trump. Già da tempo, infatti, la Republican Muslim Coalition – che riunisce quindi i musulmani repubblicani d’America – aveva dichiarato che avrebbe sostenuto Trump, nonostante le dichiarazioni da poco rilasciate. A dirigere la Republican Muslim Coalition c’è Ahmed Saba, americana originaria del Pakistan, che dichiara di essere passata dai Democratici ai Repubblicani nel 2011, quando non si sentiva più rappresentata da quel partito: «Molti dei miei valori non corrispondevano a quelli del Partito Democratico; noi siamo molto a favore della vita, della famiglia tradizionale e dei valori tradizionali». E ora, nonostante Trump, riconferma la sua scelta: «Siamo dei bravi cittadini, rispettosi della legge, e meritiamo di sederci al tavolo. Quest’anno abbiamo davvero l’opportunità di influenzare la politica». Il Partito Repubblicano, insomma, è riuscito ad attrarre consensi anche grazie ad una maggiore vicinanza ideologica a certi gruppi – seppur non espressa da Trump.

Parallelamente, un’altra categoria di persone che ha subito una sorte simile nelle dichiarazioni di Trump, è quella dei latino-americani. Eppure, alcuni latinos hanno parteggiato apertamente per Trump. Anche qui le motivazioni sono simili: Donald Trump è sembrato il miglior candidato che potesse porre fine all’immigrazione irregolare e, però, dare aiuto a chi volesse trasferirsi in America senza sotterfugi. Alexander Cuesta, dominicano immigrato negli States nel 1981, ha dichiarato: «Lui sta dicendo: “Io sono per l’immigrazione legale”» o ancora Shawn Bombaro, che ora vive in Florida: «Noi conosciamo le difficoltà per arrivare qui e ottenere i permessi legalmente. Quando la gente viene qui illegalmente e semplicemente apre il proprio negozio, non è giusto nei confronti di chi l’ha fatto legalmente».

Allora, che significato assumono queste opinioni – e questi voti – alla luce della demonizzazione di Trump operata dai mass media? È chiaro che il presidente Trump è riuscito a toccare delle corde sensibili ed è arrivato là dove Hillary non riusciva o si era stancata di arrivare.

Elisabetta Elia

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