Sto per rivelare una verità sconvolgente: in Italia esiste la mafia.

Cari lettori, non avrei voluto farvi iniziare la domenica in modo così brusco, ma la deontologia mi impone di non nascondere evidenze così schiaccianti. In Italia esiste la mafia e so che dopo questo articolo verranno a prendermi per seppellirmi in un pilastro di cemento del Ponte sullo Stretto, ma questo è il destino di noi poveri generali La Palisse.

BrainchÈ dei giorni scorsi un’intervista al Fatto Quotidiano del PM Antimafia Catello Maresca, che fu tra i coordinatori dell’indagine che portò all’arresto di Michele Zagaria. Nell’intervista, Maresca ha posto l’accento in maniera particolare sulla gestione dei beni confiscati, arrivando a lanciare ombre pesanti come macigni sull’associazione Libera Contro le Mafie.

“Libera gestisce i beni attraverso cooperative non sempre affidabili”, queste le parole con cui l’attuale sostituto procuratore si è rivolto alla rete di Don Ciotti – che da par suo ha immediatamente annunciato querela.

Motivo del contendere, la gestione poco trasparente dei beni confiscati che, a detta di Maresca, finiscono per diventare oggetto di infiltrazioni criminali per scopi economici. Se volessimo fermarci a questo, non ci sarebbe nulla di più vero: difatti, abbiamo appena scoperto l’acqua calda. Tuttavia, l’affondo contro Libera appare quantomeno superficiale e disgraziato, dal momento che i beni confiscati non vengono gestiti direttamente da Libera (che ne ha in affido soltanto 6 su tutto il territorio nazionale, nda), ma vengono invece affidati dai Comuni attraverso bandi pubblici.

Che tra queste possano esserci anche figure dalla dubbia morale è fuori discussione, e lo stesso Don Ciotti se ne è dimostrato ben consapevole, spiegando: “Il tentativo di infiltrazione c’è ed è trasversale in Italia. Le nostre rogne sono cominciate con 17 processi in cui Libera si è costituita parte civile”. E quanto alle cooperative: “Ogni sei mesi noi chiediamo alla prefettura di verificare perché cammin facendo abbiamo scoperto che delle situazioni erano mutate e siamo dovuti intervenire noi”.

Perché uno stimato pm abbia ritenuto di rivolgere i suoi attacchi contro Libera, anziché contro i meccanismi di vigilanza e trasparenza sulle cooperative, non è dato saperlo. Si richiede a Libera di sopperire alle mancanze dello Stato, come del resto già avvenuto con la legge 109 del 1996 sul riutilizzo dei beni confiscati, sostenuta da Libera attraverso un’iniziativa popolare che raccolse un milione di firme.

Come se non bastasse, Maresca ha alzato il tiro, definendo eccessivi i 15 mila beni confiscati che sono attualmente nella proprietà statale, e proponendo di venderli.

Venderli.

Che si stia proponendo come nuovo commissario alla spending review? Da uno dei fautori dello smantellamento del clan dei casalesi era lecito aspettarsi qualcosa di meglio: chi avrebbe le risore economiche per acquistare quei beni? Tiriamo a indovinare? Sono certo che ci siamo capiti.

In definitiva, che ci sia confusione è l’unica cosa chiara: confusione burocratica, ma anche di idee. Proviamo a chiederlo al Comune di Castelvolturno, con una mole di centinaia di beni confiscati da gestire; oppure al Comune di Afragola, dove su un pescheto sottratto al clan dei Magliulo gli “ex-proprietari” continuavano a coltivare e raccogliere la frutta (se siete ancora fermi alla camorra che gestisce solo armi, droga e scommesse vi occorre un aggiornamento); oppure ancora ai tanti Comuni in cui i beni confiscati non sono neppure censiti, e le stesse amministrazioni non ne sanno nulla.

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Del resto, ovunque vi siano fondi pubblici, insorgono interessi privati con fini lucrativi e speculativi. Una nostra inchiesta sul business dell’accoglienza lo raccontava già mesi fa. Tuttavia, questo giochino tutto italiano del camuffare il nemico è un leit motiv trito e ritrito. E avremmo certo più piacere nel raccontare di beni confiscati, ma confiscati bene, piuttosto che di strali mediatici che fanno solo il gioco della criminalità organizzata e creano disamore verso le cause.

Buona domenica, lettori cari.

Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli

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