Venerdì 15 maggio per i palestinesi di tutto il mondo non è stato un giorno come gli altri. È la data della ricorrenza de “La Nakba”, in italiano “La Catastrofe”, termine che sta ad indicare l’esodo di 700.00 palestinesi dai territori occupati da Israele nel 1948. Al contrario, Israele nello stesso giorno festeggia la sua nascita. A Roma, in piazza dell’Esquilino, c’è un timido sole, di tanto in tanto oscurato dalle nuvole che fanno il cielo plumbeo. In migliaia, circa cinquemila persone, sono accorsi per partecipare ad una manifestazione contro l’oppressione di Israele a danno dei palestinesi e della Palestina.
Tra la ridda di gente pullulano le bandiere della Palestina che vanno per la maggiore, soprattutto a ridosso del palco allestito per l’occasione. Sullo sfondo, vicino alla strada – aldilà della quale incombono due camion della polizia – vi sono bandiere e striscioni di ANPI, Potere al Popolo, il Partito Comunista dei Lavoratori, Rifondazione Comunista e FGC (Fronte della Gioventù Comunista). A presidiare sono soprattutto i palestinesi di seconda generazione, molti i giovani. Ma ci sono anche migranti etiopi, indiani, colombiani e bengalesi. Tanti anche gli studenti di licei e università. Riecheggia il grido “Free Free Palestine” che, come una dolce e rabbiosa litania, abbraccia e allo stesso tempo scuote i manifestanti.
Una voce al megafono ricorda ai presenti di rispettare le norme di distanziamento. Alcuni sfoggiano mascherine (tutti ne sono muniti) raffiguranti la bandiera della Palestina. Prima di procedere con gli interventi, si comincia con l’inno palestinese seguito da un minuto di silenzio. Il primo a prendere la parola è Yousef Salman, presidente della Comunità palestinese di Roma e del Lazio, il quale ricorda che questa è l’ennesima strage per il popolo palestinese: «da più di un secolo che questo conflitto va avanti e senza una fine» e si augura che la Palestina possa «avere lo stesso destino che ha avuto l’Italia dopo l’occupazione nazifascista». Dunque, anche la Palestina sogna un proprio 25 aprile. Una voce femminile spezza per un attimo il monologo. Il grido è il solito: “Free Free Palestine”.
Salman chiede ai media «di portare la verità». In effetti, i mezzi di informazione stanno veicolando messaggi fuorvianti, nei quali si fa riferimento agli “scontri” fra le due fazioni, come se non si trattasse di uno scontro impari nel quale l’oppressore (Israele) ha una forza militare ed economica molto superiore a quella del popolo oppresso, quello palestinese. Con voce sempre più accorata, per via del caldo e dell’emozione, Salman riferisce del proprio stupore riguardo all’appoggio della destra italiana, ma anche del centro sinistra, a Israele. A fare da intermezzo fra un intervento e l’altro i cori, i quali talvolta vengono pronunciati in lingua italiana: «Israele via via, Palestina casa mia».
Luisa Morgantini, presidente di Assopace Palestina, tra gli schiamazzi della folla, comincia il suo discorso annoverando i valori guida del popolo palestinese: «Libertà e autodeterminazione sono l’essenza della rivolta che c’è in Palestina». Ribadisce che «non c’è libertà dove c’è occupazione».
C’è anche Francesco De Santis, presidente dell’ANPI, che invoca, come aveva già fatto in precedenza Lusia Morgantini, il rispetto del Diritto internazionale, il quale prevede il ritiro dell’occupazione militare dei territori palestinesi. Rincara la dose quando afferma che «l’espulsione dei palestinesi da Gerusalemme Est corrisponde a una pulizia etnica di quella città».
Fra le rivendicazioni, oltre al già citato ritiro delle truppe israeliane nei territori occupati, vi è quella di operarsi affinché non rimanga sulla carta il tanto agognato Stato palestinese. Non mancano gli appelli all’Occidente, i cui paesi finora sembrano capaci di riconoscere solo i morti di Israele. D’altronde Israele è l’avamposto dell’Occidente e degli Stati Uniti in Medio Oriente. Perciò le piazze d’Italia – non solo a Roma ma anche a Milano, Palermo e Bologna etc. – che si sono riunite in occasione della ricorrenza del giorno della “Nakba”, servono a far voltare ai governi europei lo sguardo anche verso gli oppressi, verso gli ultimi della terra.
A fine manifestazione, spontaneamente, viene improvvisato un corteo su Via Cavour.
Marco Marasà