Più risorse al Sud per ridurre i divari territoriali è uno degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il governo ha ben chiare le condizioni socio-economiche del meridione: «a Sud vive un terzo degli italiani – si evidenzia nel documento – ma vi si produce soltanto un quarto del prodotto nazionale lordo. Ad oggi, è il territorio arretrato più esteso e popoloso dell’area euro». Nel corso del tempo è anche diminuita la spesa pubblica per il Sud: sempre secondo il Pnrr, dal 2008 al 2018 gli investimenti sono passati da 21 miliardi a poco più di 10 miliardi di euro. Date queste premesse, nel piano si annuncia il cambio di rotta: «Il Governo ha deciso di investire non meno del 40 per cento delle risorse territorializzabili del PNRR (pari a circa 82 miliardi) nelle otto regioni del Mezzogiorno».
Una buona notizia, se non fosse per un particolare: al momento la partita sul chi spenderà queste risorse e come verranno impiegate, è tutta da giocare. «Solo nella fase attuativa del Piano sapremo quanto è effettivamente destinato al Sud» – dice Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università di Bari. Lo studioso ha condotto una ricerca sul Pnrr per capire quanto, degli 82 miliardi annunciati, andrà effettivamente a finire nelle otto regioni del Sud. Nello specifico, Viesti ha scoperto che poco più di 35 miliardi sono già allocati per il meridione. Gli investimenti destinati dal Piano, infatti, non sono divisi per aree del Paese, ma per missioni e, al loro interno, componenti.
Per fare degli esempi, ai collegamenti ferroviari ad Alta velocità verso il Sud (che fanno parte della missione 3, cui sono destinati 27 miliardi di euro complessivi) sono dedicati 4,64 miliardi di euro. Gli interventi, che mirano a ridurre i tempi di percorrenza dei treni, sono specifici e riguardano, fra gli altri, il completamento della tratta Napoli-Bari, della Palermo-Catania-Messina, della Salerno-Reggio Calabria, ma anche il potenziamento e l’elettrificazione delle tratte, inclusi i treni regionali e gli intercity. Misure specifiche riguardano le Zes (Zone economiche speciali), i servizi idrici integrati, l’efficientamento degli uffici giudiziari. Ci sono poi alcuni investimenti già assegnati perché se ne sono occupati i relativi ministeri. Come quelli del fondo complementare al Pnrr relativo al settore Cultura, destinati a finanziare 14 progetti. Per esempio, 53 milioni di euro sono destinati al Museo del Mediterraneo di Reggio Calabria.
Ma il resto? «Bisogna distinguere – prosegue Viesti – perché parte delle risorse è destinata alle imprese – come gli incentivi – e inoltre ci sono le misure dedicate alle famiglie. Pertanto i soldi arriveranno ai diversi territori su base nazionale, a seconda delle dinamiche di mercato e delle regioni di residenza dei destinatari». Inoltre la parte più consistente del Pnrr verrà attuata dalle amministrazioni locali, e qui la faccenda si complica: «I comuni dovranno concorrere tra loro per accaparrarsi le risorse, e il rischio è che la realizzazione di nuovi e più efficienti servizi per i cittadini dipenda dalla capacità di questi enti di vincere i bandi».
Così, il piano per asili nido e scuole dell’infanzia, cui sono destinati 4,6 miliardi di euro, prevede che i comuni accedano ai fondi tramite procedure selettive. Ma l’attuazione non è così semplice: le amministrazioni locali italiane sono disomogenee, e alcune di queste non hanno la capacità tecnica per presentare buoni progetti. Senza contare che i piccoli comuni – con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti – rappresentano il 69,5% del totale delle amministrazioni. Come spiega Viesti «per competere in modo ottimale è necessario avere specifici profili professionali nell’organico – come ingegneri e architetti – che molti comuni non hanno, specie al Sud».
In effetti il meccanismo della presentazione dei progetti preoccupa gli stessi sindaci del Mezzogiorno: molti di loro hanno partecipato a una manifestazione a Roma il 7 luglio, organizzata dall’Anci (Associazione nazionali comuni italiani). Gli amministratori lamentano anni di svuotamento delle piante organiche che ostacolano la redazione e la presentazione dei progetti per poter beneficiare delle risorse del Pnrr. Questo vale anche per le quote che nel Piano sono già dedicate al Sud, come nel caso della realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti o l’ammodernamento di quelli esistenti. Le risorse sono pari a 1,5 miliardi di euro, e nel Pnrr si specifica che circa il 60% dei progetti si focalizzerà sui comuni del Centro-Sud Italia. Ma appunto, bisogna avere le competenze per presentarli.
In sintesi, l’obiettivo annunciato di riduzione dei gap territoriali coinvolge lo Stato, ma anche le amministrazioni locali. Tuttavia, molte di quelle del Sud non sono in grado, se lasciate sole, di accaparrarsi le risorse per garantire servizi migliori ai cittadini: «Il governo – dice Viesti – privilegia gli aspetti attuativi e la velocità di esecuzione». Con il rischio che, se la condizione di partenza è un’Italia a due velocità, le regioni meridionali faranno maggiore fatica a beneficiare pienamente degli 82 miliardi promessi.
Raffaella Tallarico