Era il 1958 e veniva pubblicato da Feltrinelli “Il Gattopardo“ di Tomasi Di Lampedusa, con protagonista il pittoresco Principe Fabrizio Salina.
La pubblicazione del romanzo non era stata immediata: sottoposto prima alla Mondadori e successivamente alla casa editrice Einaudi, “Il Gattopardo” aveva in entrambi i casi ricevuto lettere di rifiuto. Tomasi Di Lampedusa, che credeva fermamente nel valore della sua opera, non poté licenziare per le stampe il romanzo.
Quello che diventerà un classico della letteratura italiana fu, infatti, pubblicato postumo, grazie all’intercessione di Giorgio Bassani. Il motivo dell’iniziale diniego è presto detto: quel genere di libro non era in linea con i gusti dei lettori dell’epoca, poiché il clima culturale era ancora influenzato dal Neorealismo. Questo movimento culturale aveva dalla sua parte il merito di aver riportato sulla scena della grande letteratura le classi sociali svantaggiate. È chiaro, dunque, che “Il Gattopardo”, che narrava di una famiglia della più alta aristocrazia siciliana, era in aperto contrasto con il clima culturale dominante. E invece, a discapito di quanto si poteva credere, il romanzo riscosse subito un grande successo, tanto da vincere il Premio Strega nel 1959. È del 1963 il celebre adattamento cinematografico di Luchino Visconti.
“Il Gattopardo” è un classico esempio di romanzo storico; l’autore nella stesura dello stesso si ispirò chiaramente alle vicissitudini della sua famiglia.
Il periodo storico trattato è il Risorgimento vissuto dal bisnonno dell’autore, Giulio Fabrizio Tomasi, di cui eredita il nome il protagonista del romanzo, il Principe Fabrizio Salina. Inquadrando il contesto storico in cui si muovono i personaggi di Tomasi Di Lampedusa, le vicende del Gattopardo possono essere collocate nel 1860, in pieno clima di unificazione. La data da cui prende avvio la fabula è l’11 maggio, ossia il giorno dello sbarco a Marsala, uno dei momenti iniziali e cruciali della Spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi. Le vicende del Gattopardo proseguono di mese in mese, fino ad arrivare al capitolo 7 che, compiendo un brusco salto temporale, arriva al 1883. L’ultimo capitolo è addirittura datato maggio 1910.
Dal maggio 1860 al maggio 1910: 50 gli anni di storia e di avvenimenti che sono intercorsi dall’inizio del romanzo alla sua conclusione. Pochi anni che sono bastati a cambiare l’Italia e la dinastia dei Salina.
Il protagonista del romanzo è Il Principe Don Fabrizio Salina, un nobile siciliano, la cui casata è rappresentata da un gattopardo, da qui il titolo: tra le altre, il gattopardo compare anche sullo stemma della famiglia di Tomasi di Lampedusa. Il Principe appare fortemente legato all’amato nipote Tancredi che, irrequieto e imprevedibile, decide di arruolarsi nelle truppe garibaldine. Sarà proprio Tancredi a pronunciare quella che è poi la frase simbolo del romanzo di Lampedusa:
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»
La famosissima frase pronunciata da Tancredi viene eletta simbolo di un modo di pensare che, a ben vedere, non trova riscontro nella risoluzione finale del Gattopardo.
Nell’immaginario odierno, con il termine “gattopardismo” si indica nient’altro che la pratica politica del “trasformismo“, la disponibilità a cambiamenti di facciata da parte di chi, facendo parte del ceto dominante, si adatta ad una nuova situazione politica o sociale (come promotore di questa) per poter conservare intatto il privilegio.
Ad onor del vero “Il Gattopardo” è un libro dove a contare, più che qualsiasi frase simbolo, è il non-detto: nel finale appare ben chiaro che non c’è alcuna continuità o sopravvivenza dei vecchi. Perfino le reliquie, accumulate nella cappella di famiglia, si scopriranno alla fine un falso: simbolo del potere ormai vuoto dei Salina e dunque della nobiltà.
Il libro è l’esemplificazione di un trapasso di regime, di una decadenza che passa anche per la figura del suo protagonista. La morte viene ad assumere un significato duplice: non è solo descritta la morte di una classe sociale ma anche quella del Principe di Salina, che in un certo qual modo la “corteggia”. Da sottolineare che, a raccontare il declino di una classe sociale, sia un autore che appartiene alla medesima.
Un altro aspetto portante del romanzo è la storia d’amore tra Tancredi e la bella Angelica Sedara, figlia del sindaco di Donnafugata, un feudo dei Salina, dove essi possiedono la residenza estiva. Tancredi, che in un primo momento era apparso interessato alla cugina Concetta (figlia del Principe), soccomberà in breve al fascino di Angelica (nel film di Visconti interpretata dalla bellissima Claudia Cardinale).
L’eterno e insolubile contrasto che emerge tra le due donne è significativo: a ben vedere Concetta e Angelica rappresentano nient’altro che due classi sociali, l’aristocrazia e la borghesia.
È l’educazione impartita ad entrambe che le differenzia nel contegno tenuto società: Concetta sa come comportarsi, obbedisce agli ordini e all’apparenza si dimostra pacata e docile ma ha dalla sua la tipica superbia aristocratica. Angelica, bellissima e spregiudicata, figlia di gente di umili origini, agisce senza i tipici ritegni imposti dall’etichetta.
In poche significative righe il libro descrive, in modo minuzioso, lo stato d’animo di Concetta, costretta ad essere testimone silenziosa della nascita dell’infatuazione di Tancredi per Angelica.
«[…]ma Concetta sentiva, animalescamente sentiva, la corrente di desiderio che correva dal cugino verso l’intrusa, ed il cipiglietto di lei fra la fronte e il naso s’inaspriva; desiderava uccidere quanto desiderava morire. Poiché era donna, si aggrappava ai particolari […] ed a questi particolari, che in realtà erano insignificanti perché bruciati dal fascino sensuale, si aggrappava fiduciosa e disperata come un muratore precipitato si aggrappa a una grondaia di piombo».
È descritto perfettamente lo stato d’animo di una donna innamorata e ferita, che vede l’oggetto del suo amore scivolarle dalle mani.
Tancredi alla fine sposerà Angelica, in una simbolica vittoria dell’una sull’altra (e forse in una simbolica sconfitta dell’aristocrazia). Concetta rimarrà sola, finirà per inasprirsi e chiudersi, rimuginando sui fantasmi del suo passato, finché non si renderà conto di essere causa del suo stesso male.
“Il Gattopardo” è anche un romanzo di grandissima potenza evocativa, in particolare nelle pagine che raccontano della Sicilia; quella stessa bellissima terra, “con tante piaghe da sanare, con tanti desideri da esaudire“. Quando Don Fabrizio rifiuta un seggio nel Senato del nascente Regno d’Italia, emerge il giudizio storico del principe: in tutte le dominazioni che si sono susseguite in Sicilia, isola che porta “sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee“, la sicilianità, con cinismo e rassegnazione, si è adattata al cambiamento ma non è mutata. Le continue conquiste hanno reso i siciliani apatici, diffidenti, fatalisti.
«Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio.»
Il mutamento del Regno d’Italia è nient’altro che l’ennesimo tentativo di cambiamento, che in realtà non porterà rinnovamento. Perché la Sicilia, sfruttata e bistratta, è diventata impossibile da domare, sprezzante all’ordine sociale e chiusa al rinnovamento.
“Il Gattopardo” di Tomasi Di Lampedusa è il romanzo dove nulla rimane com’è: tutto finisce e decade su se stesso, la contemplazione della morte si accompagna al fluire incessante del tempo, che tutto porta via.
«Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida.»
Vanessa Vaia