“Pensavamo di essere partiti per uno sprint, invece era una maratona”. Così diceva un attivista a Saint Nazaire, nella Loira, dove a inizio aprile duecentotrentacinque delegazioni del movimento dei gilet gialli si sono ritrovate per discutere del loro futuro, che muta ed evolve incessantemente da ormai più di sei mesi. Il cambiamento è evidente: rispetto alle origini il movimento ha mutato forma, discorsi, si è compresso ed espanso nella vita sociopolitica francese in base alle circostanze.
La prima precisazione importante è che i gilet gialli non sono spariti. Né dalle rotonde, né dalle strade per manifestare nelle principali città.
I numeri dei cortei sono altalenanti e più bassi rispetto alla fine dell’anno scorso, ma non tutto il sostegno al movimento dei gilet gialli si può racchiudere nelle cifre delle manifestazioni. Il 4 maggio scorso 1400 artisti e intellettuali hanno firmato una la lettera di sostegno ai gilet gialli, rivendicando la loro vicinanza al movimento e denunciando le pratiche del governo.
Gilet gialli oggi: l’essenza della lotta
Inoltre, non c’è una linea ideologica forte e inequivocabile che unisce gli attivisti. Non c’è mai stata e forse mai ci sarà. Quello che i gilet gialli oggi stanno formando è, tuttavia, un altrettanto notevole sforzo di creare una comunità partendo da una massa di individui spesso isolati tra loro.
Uno sforzo di creazione, questo, che parte dalla scelta di rifiutare il silenzio, che si trasforma in un voler colpire direttamente il nemico. Come molti, faticano a raggiungerlo. Troppi intrecci, troppi intermediari tra loro è ciò che ritengono essere la fonte del loro malessere. Non resta che marciare verso l’Eliseo, il palazzo presidenziale, per venire poi respinti.
L’estrema “mediatizzazione” della violenza è un altro elemento che accompagna il movimento dei gilet gialli fin dagli albori. La frustrazione di molti attivisti deriva da un racconto che viene presentato all’opinione pubblica come estremamente parziale: le immagini compulsive dei casseurs che si scagliano contro le ricche boutique degli Champs-Élysées sono per molti la restituzione di quella violenza psicologica e materiale forse più sottile e di certo legale, ma assai dolorosa, esercitata dal sistema economico e istituzionale.
Si crea una spirale apparentemente infinita di repressione da un lato e di radicalizzazione dall’altro, l’una sostentamento dell’altra. Però se una è mostrata continuamente, l’altra è più complicata da articolare al grande pubblico.
L’impegno e la forma gilet gialli: cos’è cambiato?
Il movimento dei gilet gialli esercita una forma di pressione sul sistema piuttosto inusuale, fuori da partiti e sindacati. L’estrema destra della Le Pen e la sinistra più radicale di Mélenchon non sembrano aver particolarmente profittato di una nuova massa di elettori in termini elettorali, della rivolta dei gilet. In effetti, scegliere uno o più leader che organizzino e dirigano l’impiego di risorse politiche per ottenere obiettivi politici non è il metodo d’azione politica del movimento. Eppure, ciò non toglie che le lotte siano comuni: il 1° maggio a Parigi sindacati e gilet gialli hanno sfilato nella stesso corteo, così come il 16 marzo si sono uniti ai manifestanti per il clima.
Dopo sei mesi di attività, da chi è composto allora il movimento dei gilet gialli oggi? Questa domanda continua a rivelarsi fuorviante, una forzatura rispetto alla composizione varia di metodi e obiettivi del movimento. Destra, sinistra, campagna, città, impiegati e autonomi, agricoltori e commessi; ricondurre il tutto a un blocco unico ci restituirebbe un’immagine troppo parziale del movimento.
Nonostante questo, rispetto ai primi mesi sul filo del rasoio oggi il movimento si è “strutturato” in un senso ampio ma funzionale: le assemblee di département sono più frequenti e l’impegno oltre la piazza sta diventando il vero volto del movimento.
Come risponde Macron?
Macron, quando ha iniziato a preoccuparsi seriamente dei gilet gialli, voleva a tutti costi trovare un problema da risolvere tramite un chiaro canale di comunicazione. Un processo razionale che ha portato alla rinuncia all’innalzamento delle accise sulla benzina, a un modesto innalzamento del salario minimo e a un “grande dibattito” nazionale – che ha portato a ulteriori promesse di riforma che prenderanno piede da quest’estate.
Tuttavia, la storia non è così semplice. Ciò che Macron non ha capito è che se il movimento stesso si definisce sauvage (selvaggio) un motivo ci sarà. Non si tratta un tavolo sindacale dove è possibile trovare un compromesso tra due parti: una misura che soddisfa un gilet giallo può tranquillamente lasciarne indifferente un altro. Il governo dà risposte parziali, spezzettate e settoriali, mentre di fronte si trova la richiesta di un cambiamento generale, radicale. Cambiamento che non trova disponibile il Presidente, che proprio per questo prova a proporre delle soluzioni mirate – un po’ come iniziare a riparare i buchi di una barca che affonda.
I gilet gialli oggi, il cui movimento nasce dalla protesta sul prezzo del carburante, criticano le diseguaglianze sociali e chiedono il referendum d’iniziativa cittadina-popolare. Da rivendicazioni più economiche, hanno ampliato la critica al sistema francese, mirando al sistema istituzionale e al presidenzialismo.
Distorsioni del movimento dei gilet gialli
Compattezza e divisioni sono diventati il tema centrale nel movimento dei gilet gialli. È evidente più che mai l’ossessione politico-mediatica di fornire numeri e trovare rappresentanti di questi gesti. Il governo ha forzatamente giocato a “trova il leader” con un movimento che ha sempre rifiutato questa dinamica.
Dopotutto, un rappresentante della rabbia popolare è sempre necessario per le narrazioni giornalistiche, le inchieste legali, i negoziati politici. Così si creano ex novo presunti delegati del movimento che hanno ben più a che fare con la necessità di interlocuzione che con la vera rappresentanza – il caso di Benjamin Cauchy, esponente dell’estrema destra rifiutato dalla base del movimento dei gilet gialli ma preso come simbolo dalla stampa, è solo uno dei tanti.
Allo stesso modo, le cifre delle manifestazioni del sabato sono messe continuamente in risalto: oggi ce n’erano due in più, ieri quattro in meno eccetera, quando in realtà il movimento sta coltivando la sua parte più profonda e comunitaria lontano dalle telecamere avide di scontri. I gilet gialli oggi vivono molto più spesso fuori che dentro lo schermo.
La riappropriazione della vita politica
Indubbiamente, la forza della ritualizzazione dell’azione collettiva (come ricorda il professore Xavier Crettiez) è innegabile nello spingere tuttora la gente in strada. Non si è mai soli il sabato, né alle sperdute rotonde di campagna né a Parigi. Rinunciare a questa a questa forma di opposizione di gruppo è insensato agli occhi di molti. Difatti, il movimento dei gilet gialli rappresenta per molti l’opportunità di sentirsi al centro della politica francese e non più costretti ai suoi margini.
Nonostante il metodo della manifestazione abbia mostrato anche limiti oltre a benefici, sembra irrealistico pensare a una fine dei gilet gialli. Anche perché, come ricordato prima, la protesta ha oggi preso forme diverse e quand’anche le manifestazioni caleranno ulteriormente con l’estate, non si potrà certo dire lo stesso del malcontento. Il malessere oggi ha trovato nelle assemblee di département una sua presa di coscienza generale, indipendente da quei partiti, sindacati e forme associative reputate insufficienti – se non errate.
L’anima profonda del movimento cambierà ancora, si riproporrà sotto altre forme e con altre rivendicazioni, ma una cosa è chiara: finché non muteranno profondamente le dinamiche di potere tra governanti e governati, tutti questi addii della protesta non saranno altro che arrivederci.
Lorenzo Ghione
L’articolo è molto interessante e vivace
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Articolo interessante, scritto in modo semplice e per questo comprensibile a tutti. Complimenti