Prima vennero a prenderci i diritti, e in pochi accennarono un moto di protesta, perché il lavoro era poco e scarso, e chi lo aveva cercava di tenerselo ben stretto.
Quindi vennero a prenderci la dignità, affermando che dovevamo lavorare di più e guadagnare di meno per il nostro futuro, e quasi nessuno ci fece caso.
Infine vennero a prenderci la vita, ma eravamo rimasti così in pochi da non avere neppure la forza di versare le lacrime per noi stessi, pensando a quando sarebbe stato il nostro turno.
Cari lettori, Abd El Salam Ahmed El Danf era un operaio di origini egiziane, aveva 53 anni ed una famiglia con cinque figli; lavorava per la GLS nel comparto della logistica, quello che consente alle merci di giungere ovunque ed essere a nostra disposizione, ma come tanti viveva il dramma quotidiano della precarietà ed il ricatto padronale dell’accettazione supina di ogni imposizione o sfruttamento.
Una cosa, al momento, appare chiara: Abd El Salam, mentre manifestava per i suoi diritti, è stato ucciso.
Lasceremo alle indagini il compito di individuare responsabilità e colpevoli, com’è giusto che sia. Ma non prendiamoci in giro: la scusa dell’incidente non basta a soffocare preoccupazioni ben più gravi, e consuetudini che iniziano a sedimentarsi con inquietante facilità nel mondo del lavoro.
Che sia questa la fase finale del Jobs Act? Dopo aver precarizzato e sottratto ogni certezza a due – se non tre – generazioni, rilanciare l’economia ammazzando i lavoratori scomodi?
La mia è un’iperbole, naturalmente, ma l’idea resta. Resta e martella, fa male, spezza il respiro. Quell’uomo stava manifestando il dissenso per ottenere il rispetto dei patti, ovvero la stabilizzazione di 13 precari promessi dall’azienda. Il giorno dopo, attraverso una mail inviata dall’azienda stessa, quell’omicidio diventava la causa del mancato recapito della merce. Una manifestazione “non autorizzata / dichiarata”, così, come in un modello da compilare; una seccatura.
Surreale pensare come non più di cinquant’anni fa i sindacati sarebbero insorti compattamente per ottenere giustizia. Sono lontani i tempi in cui la FIOM era in grado di paralizzare il Paese ed influire sulle scelte strategiche per il lavoro: oggi Landini insegue passerelle televisive e progetti machiavellici, e chi siede di fianco ai dispensatori di potere è fin troppo abituato a smacchiarsi la coscienza con messaggi di cordoglio e di solidarietà: che peccato, ci spiace, ma non potevamo fare altrimenti. FIM, FIOM e UILM hanno proclamato appena un’ora di sciopero il 21 settembre.
L’Unione Sindacale di Base, di cui Abd El Salam faceva parte, ha invece proclamato lo sciopero generale, seguito da una manifestazione: il 21 e 22 ottobre, al grido di “Ammazzateci tutti”, per rivendicare l’assurdità delle logiche che regolano il settore logistico e non solo, la compressione forzata dei salari e i meccanismi perversi di cooperative e subappalti. In rete è partito anche un boicottaggio. Ma non basta. Non è di un picchetto finito in disgrazia che stiamo parlando, non si tratta di omaggiare la memoria di Abd El Salam, di rivendicare le colpe o cercare vendetta.
Non dobbiamo cadere nell’errore di banalizzare il conflitto e svilirne le cause, ma rifondare la consapevolezza di una lotta di classe che si è dileguata nelle dinamiche di una guerra tra poveri.
“Uno in meno”, avrà pensato qualcuno. In fondo si trattava di un egiziano, uno di quei potenziali terroristi che vengono a rubarci il lavoro, stuprare le nostre donne e cose del genere. Da sempre gli immigrati, oltre ad essere vittime di razzismo e xenofobia, rappresentano una delle categorie più esposte a ricatti e sfruttamento, vivendo sotto la spada di Damocle della revoca del permesso di soggiorno.
Abd El Salam, invece, era uno di noi. Un padre, un marito ed un lavoratore. Ed oggi quel ricordo che presto giacerà nel silenzio dell’oblio ci racconta di un destino via via più inevitabile: quando l’amara profezia di Bertold Brecht diventerà la struggente realtà di una coscienza di classe seppellita a volte sotto la paura di ribellarsi, a volte sotto terra.
A domenica prossima.
Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli