Prosegue ininterrotta la pubblicazione da parte di Wikileaks di un’enorme quantità di mail che vedono come mittente o destinatario John Podesta, il presidente della campagna elettorale 2016 di Hillary Clinton.
Il flusso di mail illegalmente sottratte da hacker che la Casa Bianca crede russi (Wikileaks, nonostante i suoi primi anni “attivamente investigativi” oggi è solo una piattaforma di diffusione), inguaiano la candidata democratica, che ora non può più essere certa della vittoria finale.
La pubblicazione, una settimana fa, del fuori onda che mostrava il lato più misogino di Trump sembrava potesse essere la stoccata finale, in un duello nel quale i colpi bassi non sono stati risparmiati fin dal principio.
Ed invece ecco in soccorso del tycoon americano la piattaforma di Assange che, come durante l’estate da poco conclusa, torna a rendere pubblici file privati dei democratici.
Lo scorso luglio sempre Wikileaks aveva infatti pubblicato circa 20 mila mail sottratte dalla posta di Debbie Wasserman Schultz, allora presidente del partito, che dovette lasciare il suo incarico a fronte della rivelazione di un piano interno per favorire la Clinton ai danni di Sanders durante le primarie.
LONTANA DALLA MIDDLE CLASS
Il nuovo cyber attacco che ha colpito Podesta la scorsa settimana, rischia di essere decisivo nella corsa alla Casa Bianca.
Le mail pubblicate venerdì descrivono una Clinton incredibilmente distante da quella middle class che sta cercando di conquistare, la maggior parte della quale per il momento resta saldamente nelle mani di Trump.
«Mi sento molto lontana dalla classe media», afferma esplicitamente la Clinton, dichiarazione estratta da uno degli incontri a porte chiuse organizzati negli ambienti dell’alta finanza, a cui la candidata democratica era solita partecipare (questa non proprio una sorpresa). Hillary verrà vista ora più che mai come una donna di Wall Street, specie di fronte alle sue promesse, sempre contenute nelle mail, di tagli alla spesa sociale.
MEDIO ORIENTE
Tra le innumerevoli informazioni contenute nelle mail, alcune delle quali veri e propri pettegolezzi familiari (ma sappiamo quanto contino negli USA), spiccano messaggi in cui la Clinton si dimostra più informata di quanto ci si potesse aspettare riguardo alla questione mediorientale: «Mentre questa operazione militare va avanti» scrive, «dobbiamo usare tutte le nostre diplomatiche risorse e i mezzi più tradizionali di intelligence per fare pressione sul Qatar e sull’Arabia Saudita, che segretamente forniscono sostegno finanziario e logistico ad ISIS ed altri gruppi sunniti radicali nella regione». Come il legame con Wall Street, anche questa non proprio una sorpresa, ma una spiegazione così chiara cozza con il riguardo diplomatico degli States verso gli stati citati.
Ciò che però mette maggiormente in difficoltà la Clinton è il fatto che Arabia e Qatar abbiano finanziato la sua corsa alla presidenza. Dovessero essere confermate le mail, ne verrebbe fuori un ritratto agghiacciante della democratica.
CONTRATTACCA TRUMP
Come detto in precedenza, le nuove rivelazioni di Wikileaks non possono che fare il gioco di Trump, che in un comizio in Pennsylvania ha dichiarato tronfiamente: «Io amo Wikileaks!».
Poi è arrivato il secondo dibattivo televisivo, appena dopo le rivelazioni del weekend, che gli ha permesso di riconquistare terreno sulla democratica. «Se vinco vai in galera», ha annunciato direttamente all’avversaria.
La Clinton dal canto suo non ha potuto invece calcare la mano sul già citato fuori onda del 2005, in quanto furbescamente Trump si è presentato in conferenza stampa pre-dibattito al fianco di quattro donne: Paula Jones e Kathleen Willey hanno accusato il marito della democratica di abusi sessuali nei loro confronti e Juanita Broaddrick di essere stata addirittura stuprata e minacciata. La quarta, Kathy Shelton, nel 1975 era una bambina di 12 anni quando la Clinton, allora avvocato, difendeva l’uomo che aveva abusato di lei.
A colpi di scandali, la partita è stata quindi riaperta. Gli americani, l’8 novembre, saranno chiamati ad un voto morale.
Valerio Santori
(Twitter: @santo_santori)