L’Unione Europea: soltanto un coacervo di burocrati nominati e non eletti e camera di compensazione di lobby e poteri forti? Nient’affatto. Il complesso quadro istituzionale dell’UE si compone in larga maggioranza di diversi organismi tecnocratici o a carattere prevalentemente intergovernativo, ma è caratterizzato anche da un organismo di rappresentanza democratica a elezione diretta, il Parlamento Europeo, espressione politica e legislativa del popolo europeo: dal 1979 si celebrano elezioni generali a livello comunitario, che conferiscono il mandato a ben 750 rappresentanti, riuniti in gruppi politici.
Il Parlamento Europeo ieri, oggi e domani
Il Parlamento esercita preziose funzioni di controllo politico e democratico all’interno dell’UE: oltre agli accresciuti poteri legislativi contribuisce in modo sostanziale alla stesura del bilancio comunitario e approva la composizione della Commissione Europea, il vertice esecutivo dell’Unione.
Nonostante questa unicità democratica e l’indiscutibile rilevanza pragmatica e ideale, l’appuntamento delle elezioni per il Parlamento Europeo, fino a qualche lustro addietro, è stato più o meno relegato alle seconde file della scena politico-mediatica. Al contrario, l’imminente tornata elettorale europea viene presa in gran considerazione dalle parti politiche e si qualifica come uno degli appuntamenti elettorali più importanti della storia recente, a causa delle ripercussioni rivoluzionarie e imprevedibili che potrebbe provocare a livello continentale: saranno infatti le prime elezioni europee tenutesi in seguito all’esplosione del fenomeno populista, e potrebbero vedere mutati equilibri politici molto consolidati.
I gruppi politici del Parlamento Europeo: esperimento di aggregazione politica transnazionale
Cos’è un gruppo politico? Il cardine sul quale si regge il funzionamento organizzativo del Parlamento Europeo: i rappresentanti eletti si riuniscono in gruppi politici, composti non attraverso il criterio della nazionalità (utile invece alla ripartizione dei seggi), ma riunitisi per affinità programmatiche, per appartenenza a determinate famiglie politico-ideologiche, oppure semplicemente per ragioni di opportunità. Un gruppo politico deve essere composto da un numero minimo di 25 membri, e deve vedere rappresentato da almeno il 25% degli Stati che compongono l’Unione.
I rappresentanti che si trovino nella condizione di non aderire a nessun gruppo politico sono qualificati come “non iscritti”, e pur sedendo regolarmente negli emicicli di Bruxelles e Strasburgo non godono di molti vantaggi legati all’affiliazione: costituire o aderire a un gruppo è essenziale per una piena agibilità politica all’interno del Parlamento.
Una fisionomia, quella dei gruppi politici europei, che non ha simili nella storia delle istituzioni politiche: la cooperazione tra deputati provenienti da Paesi e partiti diversi, riuniti in una singola entità politica transnazionale che deve operare in un sistema che richiede efficienza e cooperazione ad alti livelli, è un unicum, che richiede una continua concertazione tra le parti.
Tutto questo assume ancora maggiore valore se si pensa che i gruppi parlamentari devono accordarsi, all’interno e all’esterno, per esprimere i nomi della Commissione (per le precedenti elezioni è avvenuto addirittura che la maggior parte dei gruppi indicasse un candidato alla Presidenza prima delle elezioni).
Tuttavia, nonostante questa complessità, il meccanismo ha funzionato: l’equilibrio delle istituzioni europee si è fondato sulla coerenza interna, sull’alternanza e/o sulla collaborazione stabile delle principali famiglie politiche europee, le quali hanno sempre occupato con un certo margine la maggior parte degli scranni.
Finora.
All’indomani delle elezioni del maggio 2019, a prescindere dai risultati che saranno, la fotografia del prossimo Parlamento Europeo apparirà parecchio differente: forse non tanto nei numeri, quanto sicuramente nei rapporti di forza.
Segue una sintetica disamina di tutte le forze in campo e della loro organizzazione europea, tenendo conto che a prospettarsi è ben più di un semplificato bipolarismo manicheo che contrappone populisti-sovranisti e progressisti-mondialisti: scendendo nel dettaglio, il quadro delle forze in campo è molto più complesso e sfaccettato.
La vecchia maggioranza: PPE, S&D e ALDE
I gruppi politici maggiormente “consolidati”, e costituenti della maggioranza che appoggia la Commissione Juncker, sono momentaneamente attraversati da una certa emorragia di consensi, più o meno grave o lieve a seconda dello stato che si considera, ma seguendo il solco di un trend europeo (se non mondiale) consolidato.
Il PPE (Partito Popolare Europeo) è stato per quattro legislature consecutive il gruppo più numeroso e, secondo le rilevazioni, probabilmente si confermerà anche nel 2019.
Le difficoltà, più che il consenso comunque calante, riguardano l’ormai inestricabile eterogeneità politica che contiene: di ispirazione cristiano-sociale, ma anche conservatrice e liberale, il PPE corre dalla CDU della Merkel, ai Repubblicani Francesi, a Forza Italia, fino ai popolari austriaci (alleati in patria con l’estrema destra) e al “controverso” leader sovranista ungherese Orban. L’identità e le pulsioni del gruppo sembrano sparpagliarsi in molteplici direzioni, e la sua tenuta, così come il posizionamento che terrà nella prossima legislatura, potrebbero riservare colpi di scena.
Il gruppo politico S&D (Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici), rappresenta invece abbastanza uniformemente tutti i partiti di centro-sinistra o social-democratici del panorama europeo. La crisi (sia elettorale che ideologica) di questi soggetti politici non è una notizia da tempo, e il rischio di venire pesantemente ridimensionati nel prossimo Parlamento è un rischio più che concreto.
I socialisti sono prossimi all’estinzione in importanti paesi come Francia e Polonia, e nelle sue incarnazioni in Germania e in Italia (rispettivamente SPD e Partito Democratico) versa in profonde difficoltà. Il nuovo spostamento verso sinistra, dopo anni di diffuso moderatismo e blairismo, sta regalando risultati più positivi: è il caso del PSOE in Spagna (che ha dimostrato una tenuta decisamente superiore alle sue controparti europee) e al Labour britannico (che però, causa Brexit, vede in bilico la sua partecipazione).
In ogni caso, sarà difficile immaginare un ruolo di prima fila per S&D nel prossimo Parlamento Europeo.
Ancora una volta, dopo la presidenza Juncker, i socialisti saranno probabilmente costretti ad alleanze scomode coi i popolari e/o di ALDE. Proprio questi ultimi potrebbero invece incorrere in un risultato sorprendente: partendo da una piattaforma chiaramente europeista e pro-mercato, l’Alleanza dei liberali sta pazientemente tessendo un network di forze politiche dalla significative ambizioni, culminata nell’adesione di En Marche! di Macron. La stella del Presidente francese non brilla certo come un tempo, ma le pattuglie liberali in molti Paesi europei stanno crescendo, e anche questi piccoli numeri, sommati, potrebbero fare la differenza.
I gruppi euroscettici: i sovranisti e i populisti
Dall’altra parte, accomunati da posizioni più o meno critiche verso l’establishment europeo e l’UE, si trovano numerosi gruppi politici, anche molto diversi.
Da considerare c’è innanzitutto la composita galassia populista-sovranista: i conservatori euroscettici di ECD, che comprende tra gli altri i conservatori britannici e la destra polacca di PiS. I nazionalisti di estrema destra di ENF nel quale spiccano il Rassemblement National di Le Pen , l’AfD tedesca e la Lega di Salvini (primo partito a Bruxelles, rilevazioni alla mano). E infine EFDD, promosso soprattutto dal Movimento 5 Stelle.
Questo schieramento è dato in grande ascesa in tutti i sondaggi, in ogni Paese europeo: la dimensione del successo di queste forze (che sommate potrebbero agevolmente scavalcare i socialisti) muterebbe in profondità gli assetti europei, con conseguenze imprevedibili. L’ipotesi più estrema, ma al momento poco probabile, prefigurerebbe addirittura una saldatura con vasti settori dei popolari, per arrivare a un accordo di maggioranza per la Commissione. Sicuramente, i sovranisti di tutte le nazionalità e le ispirazioni vedranno accresciuto il proprio capitale politico europeo.
Alla fine, la sinistra
C’è poi la Sinistra, nelle sua duplice declinazione ecologista-ambientalista e radicale: i Verdi, con folte pattuglie da Germania (dove potrebbero essere il secondo partito), Austria e Svezia, e GUE/NGL, espressione europea della greca SYRIZA, de La France Insoumise e del movimento spagnolo Podemos.
Molte di queste forze politiche sono in salute a livello nazionale, ma, appesantiti anche da un certo massimalismo, faticano a declinare una strategia europea chiara (ad esempio nei confronti dei socialisti), che si ripercuote nella scarsa influenza di questi gruppi nel “grande gioco” del Parlamento Europeo. Bisognerà soppesare i risultati effettivi per poterne interpretare il ruolo.
Com’è evidente dall’espansione dei gruppi critici verso l’UE, queste elezioni segneranno profondamente la storia d’Europa.
Tuttavia, con altrettanta evidenza, non è chiaro quale direzione imboccherà questo cambiamento, sospeso tra fin troppe variabili, attori, interpretazioni. La fisionomia dei futuri gruppi politici sarà determinata da mesi di campagna elettorale che si prevedono roventi.
Luigi Iannone