Ora la primavera non ci basta”: così termina la celebre poesia di Salvatore Quasimodo “Oggi Ventuno Marzo”, coi versi amari e struggenti che hanno scolpito il nome dell’autore siciliano nella gloria dell’eternità.

Oggi 21 Marzo, con identica malinconia e suggestione, si celebra in Italia la Giornata della Memoria e dell’Impegno, in onore a tutte le vittime innocenti della criminalità.

Un appuntamento da poco divenuto istituzionale sul nostro calendario, con l’approvazione definitiva al Senato. Tuttavia, quest’Italia che si ferma ad omaggiare e ricordare le vittime innocenti è uno Stato forse più consapevole, ma non per questo ancora abbastanza maturo da fare i conti con la propria realtà ed affrontare quei fantasmi. Fra tutte le manifestazioni che si articoleranno lungo la penisola con il contributo di Libera Contro le Mafie e a cui noi, simbolicamente, aderiremo seguendo di persona i cortei di Napoli e di Salerno, aleggia purtroppo uno spettro indecifrabile di trafelata incompiutezza.

Celebrare è importante, poiché la memoria storica modella l’identità di un popolo e lo accomuna nelle problematiche di interesse collettivo; allo stesso tempo, l’impegno che si profonde per scardinare le cause sorgive di una simile ricorrenza è ben lungi dall’essere sufficiente.

Da una parte un elenco di nomi, lapidarie sentenze di tragedie e fallimenti del passato. Ognuno con una storia, un ricordo, un esempio da condurre avanti ed interiorizzare nella riflessione. Dall’altra un’attualità desolante che racconta di altre storie, sofferenze quotidiane, umiliazioni incomprimibili. La criminalità organizzata, come fenomeno umano destinato prima o poi ad estinguersi, è viva e vegeta e pericolosa come allora, negli anni neri, di piombo, le cui ombre si stagliano nette come un’eredità fardello da trascinarsi dietro.

Vi fu una trattativa tra Stato e Mafia? Entro quali contorni, a quali condizioni? Quesiti divenuti ormai retorici, al silenzio di una pietra tombale che giace nell’oblio. Non stupisce come la criminalità, nel tempo, si sia evoluta ed abbia saputo espandersi sfruttando le debolezze di un’entità corrotta e corruttibile, fallace ed omertosa. Parlare oggi di mafia significa confrontarsi con i fenomeni delle tangenti, degli appalti pilotati, della pervasività nelle istituzioni. Significa affrontare lo smaltimento illegale di rifiuti, le baby-gang, il traffico di migranti. Significa anche e soprattutto accettare l’idea di una mafia finanziaria che ci manovra attraverso il ricatto del fallimento, costringendo i governi a creare e mantenere le condizioni per una nuova schiavitù del terzo millennio, fondata sullo sfruttamento intensivo dei lavoratori a vantaggio degli accumulatori di capitale.

Contrastarla – che è atto ben diverso – implica un’operatività ad ogni livello, un processo lungo e dispendioso di educazione, (in)formazione, emancipazione. La criminalità va combattuta sul suo stesso terreno, andando a colpire i suoi interessi primari: ma è proprio qui che avviene il corto circuito.

Un governo che smantella lo stato sociale, che privatizza i beni ed i servizi essenziali, che non riesce ad implementare normative complete ed efficaci contro la corruzione, è un governo che compie palesemente la volontà delle mafie. La sfida è lì, nell’estirpare le radici maligne come le foglie marce, agendo con coerenza e soprattutto coraggio: quello che ebbero Giancarlo Siani, Peppino Impastato, Don Peppe Diana, Angelo Vassallo e tanti come loro. Esempi nella vita, non nel ricordo. Perché è nella vita che bisogna concretizzare l’impegno, esattamente qui ed ora. Ignorarlo, vorrebbe dire vanificare l’esistenza di quei nomi che oggi scandiremo con le lacrime agli occhi, e soprattutto condannare noi stessi a rimanere per sempre sul lato sbagliato della storia.

Emanuele Tanzilli

Scrivo per dimenticare.

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