“Quibi è un servizio disponibile solo su smartphone che propone contenuti originali realizzati dai migliori creativi di Hollywood, con una nuova tecnologia che rende questi contenuti splendidi sul vostro cellulare. Finora c’erano i film per il cinema, che sono storie che durano due ore ed esistono da cento anni, le serie, che sono storie di un’ora che sono fatte per essere viste sul televisore. Noi pensiamo che il telefono sia la prossima piattaforma, e abbiamo creato una tecnologia che permette ai filmmaker di fare qualcosa di splendido“. Così Jeffrey Katzenberg (cofondatore di DreamWorks) lancia la sua nuova creatura, Quibi, servizio streaming on demand esclusivo per cellulari e smartphone disponibile in Italia dal 7 aprile 2020. Se si ipotizza un altro contendente per la vittoria della concorrenza streaming, è bene parlare di Quibi nella sua particolare unicità: una piattaforma che al di là della vittoria, desidera rivoluzionare il mercato.
QUIBI: mordi e fuggi
Quibi è il fast food dello streaming. La sua diversità dalle già note piattaforme Netflix o Disney+ è evidenziata a partire dal suo nome, crasi delle parole “quick” e “bites”, cioè “morsi veloci“. Veloce è infatti la sua fruizione: solo 3 ore di contenuti al giorno. Insomma, il tempo di un film ed un episodio di una serie tv. Se si pensa già ad un flop, bisogna volgere l’attenzione sul tipo di contenuti messi a disposizione dalla piattaforma. Non sono infatti contenuti di durata classica, ma diversi tipi di contenuti originali di una durata massima di 10 minuti visibili soltanto da smartphone o tablet. Per il primo anno sono stati finanziati 1,1 miliardi di dollari per la produzione di materiale originale Quibi: 8.500 episodi, per un totale di 175 serie. 25 nuovi contenuti vengono inseriti nel catalogo ogni giorno: “film in capitoli“, ma anche docuserie, reality, talent e news. Tutte mini-visioni pensate per riempire i ritagli di tempo della frenesia quotidiana in un palmo di mano.
UNA NARRAZIONE RIVOLUZIONARIA O UN SEMPLICE AZZARDO?
Sarebbe ovviamente affrettato sentenziare la mancata portata rivoluzionaria di Quibi, ancora in fase espansiva. Le recensioni americane non sono molto entusiaste, sia per quantità e qualità di contenuti sia per il prezzo stesso della piattaforma non così basso se si considerano i cataloghi di Netflix, Disney+, Amazon Prime Video e simili (4,99 dollari al mese con pubblicità e 7,99 dollari al mese senza pubblicità). Inoltre a mancata trasmissione TV può storcere il naso a molte famiglie, considerando anche l’attuale emergenza epidemiologica. Da un ottica puramente qualitativa, molte sono le critiche alle produzioni originali per quanto concerne il mondo scripted. Quibi tenta di combinare il mondo dei film con quello delle serie tv forse in maniera pretenziosa. Così come avviene durante gli episodi di Survivor, “film in capitoli” sembrerebbe una formula azzardata per coprire con il velo dell’innovazione una sostanziale realtà: una serie televisiva i cui episodi non durano 40-60 minuti, ma massimo dieci. Eppure la narrazione per essere potente e trasportante necessita di una sua dilatazione temporale, che è il terreno per una riflessione pura e genuina dell’arte da fruire. La brevitas deve reinventarsi per poter parlare di una sana rivoluzione profonda che ponga le sue basi non sulla durata meramente quantitativa, ma sul ritmo espressivo che coglie lo spettatore. Fino a quel punto, Quibi sarà l’ennesimo specchio di una società celere in perenne movimento che lascia dietro di sé il sentimento introspettivo del tempo per far spazio a brevi attimi di libertà: un fast food del cinema e delle serie tv.
Luca Longo