Il neopresidente statunitense Donald Trump sembra sia mantenendo le promesse fatte ai suoi elettori alla vigilia del voto in tema di immigrazione e, nel farlo, non si può dire stia avendo alcun tipo di scrupolo nei confronti di quella frazione del popolo americano che non approva i suoi metodi.
In particolare, ha suscitato molto clamore il decreto presentato dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale (Department of Homeland Security), che ha rivelato agli Stati Uniti d’America gli obiettivi del Presidente, come quelli di rendere pubblici i reati commessi dagli immigrati privi di documenti e costruire nuove strutture di detenzione per gli immigrati irregolari, il cui procedimento di espulsione dovrebbe essere accelerato.
Fra gli obiettivi del Presidente che saranno raggiunti, infatti, vi è quello di dotare le forze di sicurezza di più ampi poteri, compresi quelli di arrestare ed espellere tutti coloro che saranno sorpresi a soggiornare illegalmente in territorio statunitense, a prescindere dal fatto che abbiano commesso o meno uno specifico reato.
Fin qui, come si diceva in apertura, nulla di davvero sorprendente, dal momento che Trump sta soltanto onorando i suoi impegni nei confronti degli americani che, come lui, pensano che gli immigrati irregolari – “criminal aliens”, stranieri criminali, come definiti in campagna elettorale – rappresentino una minaccia per gli Stati Uniti.
Sembra difatti importare poco che le statistiche dell’American Immigration Council dicano il contrario, ovvero che il livello di criminalità fra gli immigrati non sia di molto superiore a quello dei nativi americani.
E ancor meno interessa, a quanto pare, l’opinione di chi, nell’ambito di una manifestazione tenutasi il 22 febbraio scorso a New York, ha ribadito con forza il proprio sostegno agli immigrati, tramite uno striscione con su scritto “Refugees Welcome”, fissato ai piedi della Statua della Libertà, simbolo di un’America diversa, aperta e inclusiva, che evidentemente non piace al nuovo Presidente.
Proclami a parte, tuttavia, non sono ancora noti i passaggi da seguire per la realizzazione dei propositi di Trump, né soprattutto le modalità con cui verranno stanziati i fondi per la riforma, ad esempio per retribuire le migliaia di nuovi agenti che verranno adibiti al controllo delle frontiere, per edificare i nuovi centri di detenzione e per realizzare l’ormai noto muro lungo l’intero confine meridionale con il Messico.
A parere dei politologi statunitensi, questa mossa è servita a Trump anche e soprattutto per rinforzare il suo rapporto con la base dei suoi sostenitori, che andava rassicurata sull’effettiva volontà del Presidente di mantenere i suoi propositi così energicamente promossi in campagna elettorale.
Dal punto di vista giuridico, invece, sarà interessante capire quanto di questa riforma potrà essere effettivamente applicata negli Stati Uniti d’America, perché esistono dei principi supremi di non discriminazione, costituzionalmente tutelati, a cui anche un Presidente ha l’obbligo di sottostare.
Senza contare gli accordi internazionali in materia di rimpatrio, siglati proprio con il Messico, che, in applicazione della riforma caldeggiata da Trump, dovrà prepararsi a trattenere all’interno dei propri confini migliaia di profughi centroamericani, che saranno rispediti al mittente non appena le riforma entrerà in vigore.
In tutto ciò, l’Europa si propone come spettatrice interessata, anch’essa alle prese con un’ondata migratoria senza precedenti, dove però non esiste – rebus sic stantibus – la possibilità di teorizzare la redazione di un progetto comune di legge sulla immigrazione, dal momento che ogni stato UE gode della più ampia autonomia in materia.
Carlo Rombolà