La casa di carta 3

C’è una linea sottilissima che separa il pop dal trash. E La Casa di Carta ha sempre dimostrato di saper giocare sulla linea di questo confine con una certa lascivia e una sana incoscienza. Una sfrontatezza che ha pagato, almeno nelle prime due stagioni.

La Casa di Carta 3

La Casa di Carta 3, invece, riprende il filo da un happy ending amaro (il colpo portato a compimento ma con il sacrificio estremo di Berlino, Mosca e Oslo) ma non riesce a ripetere la formula delle prime due. Il coraggio si è trasformato in spacconeria, in una sovra-consapevolezza dei propri mezzi e dei propri punti di forza che ha ingrigito il lato pop e spinto troppo sull’acceleratore del trash. Il che non è di per sé tutto da cestinare, dato che l’anima kitsch è nelle genetica de La Casa di Carta e che come tutti i prodotti transmediali cresce, in peggio o in meglio, come un ragazzino sconvolto dal troppo successo. In breve può diventare un Macaulay Culkin o un Elijah Wood, a seconda delle contingenze (e della scrittura). Al momento siamo più sul Macaulay Culkin, tra sospensione di incredulità troppo estesa, scrittura arrugginita e una narrazione a bussola che segue uno schema fin troppo familiare.

La serie assume, parte dopo parte, sempre più i connotati di una telenovela contemporanea

Rimane una grande perizia, per quanto scolastica, sul lato tecnico, testimoniata da una regia in grado di galvanizzare lo spettatore nei momenti topici, cristallizzare certi momenti in fotogrammi molto curati suo lato artistico, esaltati a loro volta da una fotografia top of mind. Una forma che, unita alla suspence ben iniettata, gli permette ancora di scavallare nell’immaginario del pubblico ma che sul contenuto di sta pian piano depauperando visto che La Casa di Carta 3 assume, parte dopo parte, sempre più i connotati di una telenovela contemporanea (non vi fate tradire da come ci è impacchettata e asciugatela per un attimo dal messaggio di fondo) visto il miliue narrativo fatto di continue tensioni, cliffhanger, tradimenti, alleanze, conflitti di classe e di genere, la psicologia dei personaggi che da sfaccettata tende alla semplificazione, felicità e infelicità come contrappesi ultimi degli archi narrativi dei protagonisti.

La Casa di Carta 3

Una telenovela però dal carattere globale dato che la battaglia (il colpo, la lotta contro al sistema) in questa terza stagione è passata da essere un progetto personale (dove ogni membro della banda trovava le sue motivazioni), a una sua dimensione popolare. La lotta personale si fa lotta di classe. Di chi si oppone. Una meta narrazione intelligente e comoda dato che gli elementi della serie sono stati utilizzati anche nella realtà come simboli per portare avanti alcune battaglie contro establishment di ogni tipo in ogni parte del mondo.

La Casa di Carta ha lasciato già un’eredità culturale importante per la serialità

Questo per concludere che La Casa di Carta 3 potrà cadere in basso quanto gli pare (e in questa stagione la flessione è stata sintomatica) ma la sua semplicità narrativa, la sua estetica intelligente, il suo immediato simbolismo, gli ha permesso di lasciare un’eredità culturale importante nella serialità contemporanea.
E questo non si cancella facilmente.

Enrico Ciccarelli

Sociologo, specializzato in Comunicazione pubblica, sociale e mediale. Giornalista. Scrittore. Cinemaniaco, appassionato di storie.

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