L’ennesimo film di Sofia Coppola con cast quasi totalmente femminile ha generato interrogativi sul suo più o meno velato impegno artistico in favore delle donne. Ma L’inganno non è un film femminista.
C’erano una volta gli stalloni di Hollywood, eleganti playboy dalla mascella squadrata che di film in film seducevano e abbandonavano la malcapitata di turno, invaghita e irrazionalmente trasportata dal fascino del coraggio.
C’erano poi le principesse di Hollywood. Eteree, spigliate, talvolta sfacciate, sempre bellissime. Consapevoli che l’intreccio intorno a loro non era altro che una corsa alle proprie attenzioni, al proprio corpo, e non per questo refrattarie a concedersi, infine, come da silenzioso accordo.
C’era e ci sarà sempre una modalità maschilista o femminista di narrare l’incontro (o la collisione) fra i due generi; c’erano e ci saranno sempre retoriche di genere più o meno coincidenti, film più o meno retorici, a seconda della sensibilità della produzione e del cast, ma è bene chiarire che non sarà mai quella che definiamo “la storia” di un film a determinare questa retorica espressiva.
Sofia Coppola sta stupendo ormai da anni l’intero mondo del cinema realizzando film che hanno sempre delle donne come protagoniste. Dalle vergini suicide del suo esordio nel 1998 alla eccentrica Maria Antonietta che ha contribuito in gran parte alla sua fama mondiale.
Quando è stato presentato a Cannes L’inganno, la sua ultima fatica, sono arrivati quasi immediatamente i commenti seccati per la nuova scelta di un cast, se si esclude Colin Farrell, totalmente femminile. Come se fosse la ripartizione quantitativa dei ruoli a determinare la maggiore o minore sensibilità femminile/femminista di una pellicola. L’equazione mentale operata da molti è stata la seguente: Sofia Coppola, donna, fa film sulle donne, si rivolge a un pubblico formato preminentemente da donne, quindi non può che parlare bene delle donne. Quindi: non può che parlare male degli uomini.
La trama del film in questione non aiutava di certo a evitare tali sillogismi monchi, e sbattuta così, senza un minimo di contestualizzazione, nel variegato mondo dei siti di recensioni ante-film (“precensioni” copie “di mille riassunti”), suonava di certo male al pubblico maschile della rete, e generava precommenti sulle precensioni. Nel film, ambientato nel periodo della guerra di secessione americana, viene narrata la storia di un soldato appartenente alla fazione nordista che moribondo trova rifugio in un istituto per ragazze sudista (una sorta di convento laico in cui ragazze caste e pure hanno trovato alloggio per fuggire alle miserie della guerra). Qui, nonostante la guerra in corso, le ragazze e la superiora dopo un’iniziale diffidenza accudiscono il soldato nemico, fin quando lui non si fa trovare a letto con una delle adolescenti. Il soldato viene dunque avvelenato e consegnato alle autorità.
Di fronte a questa trama, numerosi precommentatori di precensioni subito puntavano il dito contro la Coppola e le poche informazioni riguardanti l’ideazione del film arrivate in rete confermavano il capo d’imputazione: il film, oltre ad avere una trama decisamente femminista, era anche il remake di un film decisamente maschilista (“La notte brava del soldato Jonathan“, 1971, regia di Don Siegel) e poiché a operare il remake era stata una donna, non c’era più il minimo dubbio che questa nuova versione fosse, radicalmente, femminista (nonostante il film sia uscito in epoca pre-Weinstein).
Peccato però che successivamente qualcuno abbia deciso di vedere il film, forse inconsapevole delle recensioni a occhi bendati trovate in rete, o forse guidato proprio da queste, e si sia trovato di fronte un’opera decisamente sorprendente.
Sofia Coppola dipinge su pellicola l’intricato gioco delle relazioni umane da un punto di vista oltremodo realistico, come testimoniano le scelte visive. Le numerose inquadrature larghe che registrano gli avvenimenti nell’angusto istituto invitano lo spettatore a indirizzare il proprio sguardo ove egli voglia, senza vincoli stringenti, e anche la scelta della pellicola 35mm al posto del digitale denota un’attenzione maniacale finalizzata alla restituzione il più possibile fedele dell’illuminazione interna generata fiocamente da candele.
Quanto ai personaggi, va innanzitutto notato che il ruolo principale della storia è maschile, il protagonista della vicenda è infatti il soldato Colin Farrell. Egli trova rifugio nell’istituto e non vi porta unicamente scompiglio, anzi, inizialmente vi porta la gioia che deriva dalla novità. Sofia Coppola descrive con delicatezza l'”elettrizzazione” dell’ambiente prettamente femminile al cospetto di un uomo di bell’aspetto e suggerisce che forse quel luogo non era mai stato così carico di significato per le residenti come dopo l’inaspettato arrivo del soldato. Così quella sorta di limbo dal quale le fanciulle non possono fuggire solo per i pericoli che si trovano all’esterno di esso diviene d’un tratto luogo desiderato e teatro della vita.
La superiora (Nicole Kidman) e le ragazze scoprono nella presenza dell’uomo un punto di fuga dalle proprie angosce; la camera del lungo degente diviene infatti una sorta di confessionale all’interno del quale ciascuna delle donne di casa trova conforto, grazie all’ascolto attento del soldato. Decidono dunque di non consegnarlo alle autorità principalmente perché la loro vita all’interno dell’istituto migliora nettamente grazie alla sua presenza, e non per carità femminile, come alcune precensioni tendevano a dire.
L’uomo è comunque anche portatore di caos, poiché per ingraziarsi le fila nemiche ed evitare di essere denunciato regala facili illusioni a ciascuna delle tre donne che subiscono maggiormente il suo fascino, innescando una tacita competizione. Quando però viene scoperto a letto con una di esse, accidentalmente viene spinto giù per una scalinata da una contendente rabbiosa, e solo l’amputazione di una gamba potrà salvarlo dalla morte. Sofia Coppola dunque descrive anche questa nuova convalescenza del soldato, che divenuto storpio perde in virilità e quasi impazzisce dalla rabbia per il torto subito, dimostrandosi prima goffamente vendicativo e poi chiudendosi in camera, tentando di tagliare i rapporti con le donne.
Nel momento in cui il soldato infine cerca di ristabilire un’armonia all’interno dell’istituto, ignora di essere divenuto nel frattempo un ospite indesiderato. Le donne con freddezza sorprendente pianificano la sua morte ed espongono il cadavere fuori dall’istituto, denunciando così il soldato alle autorità.
Sofia Coppola con questo film smentisce quindi in realtà il mito di autrice impegnata che in molti le hanno affibbiato, o per lo meno dimostra di non impegnare le sue risorse intellettuali in favore della questione ideologica femminista. Il focus del suo lavoro sembra più un’attenta costruzione del vero (ovviamente, di un vero cinematografico), o se vogliamo una decostruzione di falsi veri: veri ideologici.
Il cinema di Sofia Coppola si rivela in realtà intimo, quasi monade rispetto a facili correnti politiche. In un’intervista rilasciata in prossimità dell’uscita del film la regista ha dichiarato di aver visto la precedente versione di Don Siegel, ma anche di aver cercato immediatamente di dimenticarla. Ciò che ha cercato di rappresentare in questa pellicola è il variegato mondo della femminilità nelle sfaccettature che ha sentito più affini al proprio essere, senza supporre che queste fossero un campione significativo della manifestazione totale della femminilità nel mondo.
Per questo l’opera della Coppola può di certo essere definita femminile, ma non femminista. Femminile perché partorita da donna, ed è la stessa autrice ad aver descritto in questo modo il film. Femminile perché i moti dell’animo dell’unico personaggio maschile, il soldato, di fatto non vengono mai indagati nel profondo.
Ma è proprio per questo motivo che “L’inganno” non può essere definito un film femminista: la barriera che la regista rispettosamente pone fra personaggi femminili e personaggi maschili è necessaria per evitare di fornire una visione ovviamente non veritiera della maschilità, che la Coppola socraticamente ammette di non conoscere.
Non erano in fondo maschiliste le caratterizzazioni degli stalloni di Hollywood sopracitate, mentre lo erano quelle delle figure femminili, che la mentalità maschile di registi e produttori dell’epoca riduceva ad adulatrici e facili prede. La lezione socratica della Coppola insegna che bisogna parlare, scrivere o filmare solo ciò che si conosce, precensori e precommentatori avvisati.
Valerio Santori
(twitter: @santo_santori )