Oriana Fallaci 1968 memorie
Fonte immagine di copertina: Rizzoli

Oriana Fallaci 1968, dal Vietnam al Messico: la testimonianza oltre gli stereotipi

Oriana Fallaci e il 1968: un momento tanto importante quanto cruciale per l’autrice fiorentina che viene incoronata dalla rivista statunitense “Time”, proprio in quell’anno, “la più importante giornalista italiana con un seguito anche in molti altri Paesi”. Oriana Fallaci 1968 è infatti il diario di memorie che l’allora inviata de “L’Europeo“, lo storico settimanale fondato da Arrigo Benedetti nel 1945, utilizza per raccogliere i fatti più salienti di quella metà del ‘900, toccando con mano la guerra in Vietnam, l’America delle lotte razziali e per i diritti civili di Martin Luther King e Kennedy, la Cina di Mao, la miseria del Perù. Ma anche le Olimpiadi in Messico e le proteste studentesche, fino al rientro negli Stati Uniti e lo sbarco sulla Luna. Oriana Fallaci in 1968 condensa in poco più di 400 pagine l’”alba di una nuova era”, attraverso una testimonianza unica, nella quale il filo conduttore è solo uno: il conflitto. La guerra vissuta a 360 gradi, dove “una buona ferita” diventa “una grossa fortuna perché è difficile venire colpiti due volte”, una semplice partenza si rivela un’esperienza di vita e gli orrori visti e percepiti sulla pelle in Vietnam si tramutano in tasselli di speranza (da un letto d’ospedale) a Città del Messico.

Oriana Fallaci 1968, la guerra in Vietnam

Oriana Fallaci 1968 non è un vero e proprio romanzo, bensì- come anticipato pocanzi- un diario di memorie. “La tragedia comincia con la paura” è il titolo del primo capitolo del testo: Fallaci, giornalista e autrice affermata nel panorama nazionale, si trova in Vietnam con il fotografo, nonché collega, Gianfranco Moroldo per documentare il “conflitto più iconico” del XX secolo. Durata oltre vent’anni, dal 1954 al 1975, la guerra del Vietnam diventa, specie dopo l’offensiva del Tet, meta e simbolo dell’ultimo giornalismo estremo. Da tutto il mondo reporter e fotografi freelance partono alla volta di Saigon per raccontare “la sporca faccenda”.

Le radici del conflitto, raccontati in Oriana Fallaci 1968, affondano infatti negli sviluppi successivi alla vittoria vietnamita della guerra di liberazione del colonialismo francese, conclusasi nel 1954 con la clamorosa sconfitta degli europei a Dien Bien Phu. All’epoca il Vietminh, Lega per l’Indipendenza del Vietnam fondata nel 1941, controllava gran parte del territorio. Tredici anni dopo, la conferenza di pace di Ginevra del 1954, decretò la separazione dell’Indocina in tre Stati: Laos, Cambogia e Vietnam. Quest’ultimo venne suddiviso in due parti: il Nord con capitale Hanoi guidato da Ho Chi Minh, e il Sud che comprendeva la zona intorno alla capitale Saigon governato dal cattolico Ngo Dinh Diem, sotto l’egidia statunitense. Ben presto nel Sud scoppiò una rivolta comunista con il governo, e il Nord intervenne in favore degli insorti, rifornendo i guerriglieri. Il conflitto s’inasprì dal 1964: i vietcong riuscirono a penetrare Saigon e le basi americane. Nel 1969 il presidente Usa Nixon annunciò il graduale ritiro delle truppe e nel 1973 venne firmato l’armistizio che prevedeva il totale ritiro delle forze americane.

Il 1968 è quindi l’anno prima della tregua (la guerra di fatto terminerà solo nel 1975 con la capitolazione incondizionata della Repubblica sudvietnamita), nel quale l’autrice fiorentina, incoronata dalla stampa come a tutti gli effetti una “corrispondente di guerra”, tenta di raccontare la violenza andando oltre al concetto di mera cronaca. Fallaci inonda d’inchiostro le pagine del diario di memorie “Oriana Fallaci 1968” intervallando descrizioni dettagliate di momenti di vita quotidiana, nei quali appunta date, luoghi e spostamenti- emblematici in tal senso i titoli brevi e didascalici che spezzano la narrazione tra un paragrafo e l’altro: “Incidente all’alba per il vietcong”, “Rappresaglia: due americani per ogni vietcong giustiziato”- a flussi di coscienza e momenti introspettivi più profondi: “Come fate a bruciarvi vivi”, “La morte per noi non è una tragedia”; creando un efficace connubio tra narrazione oggettiva e soggettiva.

La Cina di Mao e l’America delle lotte per i diritti civili

Il secondo capitolo di Oriana Fallaci 1968 si apre invece con “Eccomi tra le guardie di Mao”. La gran maggioranza dei soldati americani in licenza lascia il Vietnam per riposarsi a Hong Kong “uno dei luoghi più belli del mondo”. E anche Fallaci, di ritorno dalla guerra, si ferma nella città assediata dalla Rivoluzione culturale di Mao. Poi si trasferisce a Macao, a un’ora di aliscafo, nella “mani” dei comunisti cinesi. Qui, le memorie del 1968 mischiano momenti di vita quotidiana, riferimenti storici e linguistici, creando un contenitore armonico di pensieri e parole, che sembrano condurre il lettore dentro la Cina maoista del tempo.

Degni di nota sono poi altri due momenti cruciali raccontati all’interno del diario di memorie Oriana Fallaci 1968: “I giorni caldi dell’America” e “La notte di sangue in cui sono stata ferita”. Il 1968, come già detto, è per Fallaci un anno di viaggi tumultuosi. Il secondo trimestre si apre infatti negli Stati Uniti nel pieno delle lotte per i diritti civili. Qui Fallaci ha modo di indagare sulla morte di Martin Luther King e pochi mesi dopo quella di Robert Kennedy. “Rientrai a New York dodici ora dopo l’assassinio di Robert Kennedy. In aprile Martin Luther King, in giugno Kennedy. Uscivo dal sangue per ricadere sempre nel sangue”, racconta la giornalista nel testo. L’autrice nella terza parte del diario, dedicata agli Stati Uniti, non cerca solo di mettere insieme il puzzle delle indagini, bensì di fornire ai lettori (italiani) il ritratto di una società che l’odio minaccia di spaccare in due, dell’inquietudine della gente e delle tensioni sociali che ribollono per le strade.

Le memorie del 1968 da Città del Messico

Infine, per chiudere il cerchio del viaggio di Fallaci, è inevitabile non citare l’esperienza in Messico. La giornalista-scrittrice (come lei stessa si definirà) nell’autunno del 1968 decide di partire per la volta del Sud America per documentare ai lettori la vigilia delle Olimpiadi che si preannunciavano le più sanguinose della storia. Qui, assistendo a una manifestazione di studenti contro il governo, viene ferita gravemente e sperimenta su di sé la brutalità del regime che racconta poi nel suo reportage inviato all'”Europeo“. Ma nella notte di sangue Fallaci trova anche le risposte (alla vita) e alla brutalità della guerra che stava cercando.

Lontano dalla sua amata Firenze, dalla sua seconda casa a New York e dalla sua base vietnamita, la giornalista porta a compimento le dicotomie presenti nella narrazione “Oriana Fallaci 1968” (e nella sua stessa esistenza): la guerra sporca e brutale da un lato, generatrice di ingiustizie e dolori, che diventa strumento di forza e seduzione, l’individuo-bestia dall’altro che di fronte alla paura della morte s’aggrappa con tutto sé stesso alla vita, non curandosi di chi giace attorno.

Dall’ospedale di Città del Messico dove è ricoverata, Fallaci sentenzia che la vita in fondo è vero “è una condanna a morte, ma proprio per questo bisogna attraversarla bene, riempirla senza sprecare un passo, senza addormentarci un secondo, senza temere di sbagliare, di romperci, noi che siamo uomini, né angeli, né bestie, ma uomini. La vita è una cosa da riempire bene, senza perdere tempo. Anche se a riempirla bene si rompe. E quando quando è rotta non serve più a niente, niente e così sia”. La notte di sangue del 2 ottobre del 1968 si rivela così essere, paradossalmente, non un triste epilogo, bensì un rinnovato inizio per la scrittrice fiorentina.

di Marta Barbera

Marta Barbera
Classe 1997, nata e cresciuta a Monza, ma milanese per necessità. Laureata in Scienze Umanistiche per la Comunicazione, attualmente studentessa del corso magistrale in Editoria, Culture della Comunicazione e della Moda presso l'Università degli Studi di Milano. Amante delle lingue, dell'arte e della letteratura. Correre è la mia valvola di sfogo, scrivere il luogo dove trovo pace.

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