Fra i sempre attivi “rivalutatori del fascismo”, specializzati in revisionismo storico, circola da tempo un’idea che a forza di venire espressa è divenuta un caposaldo della resistenza all’oblio del culto mussoliniano: secondo molti Mussolini avrebbe governato bene fino all’alleanza con Hitler. Eccovi un set di 3 argomenti “anti-revisionisti” con i quali controbattere i sostenitori della sventurata tesi.

Il 27 gennaio 2013, nel corso delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, l’Italia si indignava di fronte alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi, che pur riconoscendo “l’errore” delle leggi razziali, si espresse favorevolmente verso Benito Mussolini, «che, per tanti altri versi, invece, aveva fatto bene». L’emanazione delle leggi razziali, inoltre, fu giustificata dal patto con Hitler: sicché l’errore vero dell’Italia, a suo avviso, fu quello di preferire «essere alleata alla Germania di Hitler piuttosto che contrapporvisi».

Anche Roberta Lombardi, la potente pentastellata romana rivale interna di Virginia Raggi, sempre nel gennaio 2013 argomentava sul suo blog riguardo a un fantomatico fascismo buono, quello che «prima che degenerasse aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello stato e la tutela della famiglia».

A commento delle dichiarazioni della Lombardi e di Berlusconi si espresse poi anche l’allora sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo, elencando i pregi di Mussolini: «Ha favorito il processo di conversione industriale, ha avuto una grande attenzione a quelli che erano gli aspetti del futurismo, che non era solo arte ma anche scienza» scaricando ancora una volta “le cose disastrose” su Hitler.

Per combattere chi, sulle orme dei personaggi sopracitati, anche nella vostra vita quotidiana si accinge a sostenere tale tesi, in occasione della festa della Liberazione Libero Pensiero mette a disposizione 3 buoni argomenti per rispondere che il fascismo, anche nella sua gestione “pacifica”, ovvero lontana da guerra e leggi razziali, va condannato totalmente. Per farlo utilizzeremo uno sguardo “emico”, ovvero, nel senso che gli ha attribuito l’antropologo Pike, “interno”. Questo nella convinzione che senza immedesimarsi nel popolo di allora, parole vuote rischiano di velare l’essenza del potere fascista.

1) Il tuo corpo apparteneva allo Stato

Anche i più nostalgici del fascismo non di rado ammettono che comunque era una dittatura, lasciando intendere che la privazione delle libertà personali che il dispotismo comporta vada condannata a prescindere. Ma questa piccola frase di ammissione spesso rischia di essere svuotata del suo significato se con dittatura si intende solamente una tipologia di regime che comporta uno stato di polizia permanente, e si potrebbe così affermare erroneamente che ognuno di noi, qualora fosse vissuto in quel periodo, avrebbe potuto vivere la propria vita tranquillamente se non avesse valicato certi limiti.

Ciò è errato, perché lo Stato fascista non solo limitò le libertà degli individui, ma non ne concepì nemmeno l’esistenza, formando individui la quale energia vitale fosse interamente incanalata secondo il volere di Mussolini, ovvero per la costruzione della “Grande Italia“. Il ruolo dello Stato fascista fu insomma attivo, esercitò pressione sui corpi di tutti i cittadini.

Raffaello Ricci, delegato all’Assistenza Sociale nella città di Roma, in una lettera datata 1 gennaio 1930 e diretta al governatore Ludovisi chiariva: «Lo Stato non limita l’opera propria a ordinare e disporre, ma interviene direttamente nella vita del paese», e l’intervento del quale parla è quello proprio dell’Ufficio sotto il suo controllo, quello dedicato all’Assistenza Sociale, che nella concezione fascista diviene uno degli strumenti per il “miglioramento” fisico e morale degli individui. Nella concezione del fascismo ogni individuo è necessario allo Stato, perché si crede che sulla potenza demografica si fondi la potenza della nazione, come espresso da Mussolini stesso nel celebre Discorso dell’Ascensione del 1927. Quindi, al fine di innalzare il livello della nazione, ogni corpo deve essere sfruttato secondo il suo rispettivo massimo.

Ciò si traduce nell’istituzione di una serie sterminata di enti votati al controllo e alla conduzione della vita del popolo, secondo una logica oltremodo razionale (Balilla, Avanguardisti, Dopolavoro, Opera Nazionale Maternità e Infanzia, Colonie e molte altre). Solo così si può capire perché i bambini dai 10 ai 13 anni che frequentavano la scuola di avviamento professionale venissero costantemente monitorati da un’equipe medica, che constatata la predisposizione fisica del bambino lo indirizzava verso la fabbrica, l’artigianato, la professione di elettricista o altro.

E solo così possiamo comprendere il ruolo delle infermiere visitatrici dell’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), che tra le altre nozioni impartivano alle madri quella di “frammentazione razionale delle poppate”, ovvero efficientamento dell’allattamento.
Si può intuire poi che fine facessero quei corpi non in grado di essere messi “a sistema” dal regime, ovvero quei corpi inutili, perché anormali o deboli: la colonia climatica o elioterapica era solo la migliore delle ipotesi per recuperarli alla causa.
Se poi il vostro interlocutore nostalgico vorrà saperne di più sulla concezione del “capitale umano” che doveva essere “risanato” nelle colonie, mostrategli la foto in evidenza dell’articolo.

2) Le borgate fogna del sistema

Qualora poi il vostro interlocutore abiti in periferia, e sia nauseato dal puzzo di discariche e roghi tossici, spiegategli che il concetto di periferia come fogna della città rientra nella concezione di Mussolini.

Al fascismo si deve la prima opera massiccia di costruzione delle borgate, che nascono addirittura staccate dal resto della città, come in isolamento. Ad esse erano destinati immigrati, accattoni, coloro che vivevano nelle baracche, oppositori politici, coloro la cui casa era stata demolita per volere dei piani regolatori (ovviamente solo coloro che non avevano soldi per poter comprare una nuova abitazione). L’IFACP (Istituto Fascista per le Case Popolari) fu quasi l’unico costruttore dei lotti, e la dimensione degli appartamenti variava dai 15 metri quadri ai 40 delle costruzioni leggermente più centrali.

L’istituto basava la gestione delle case popolari sul principio di omogeneità, ovvero nei vari gruppi di abitazioni la pigione da pagare differiva a seconda delle condizioni generali dell’abitato, così che i morosi venivano continuamente “scaricati” nelle borgate più misere, dove si univano ai loro simili. Non serve ricordare che le borgate erano veri focolai della tubercolosi.

Era questo una sorta di sistema di circolazione del materiale umano, chi finiva in borgata ovviamente ci finiva perché inutile rispetto alla causa nazionale, e qui veniva controllato continuamente da portieri, custodi e polizia. Qualche immagine della vita che qui si svolgeva: vietato era lo stendere i panni, lì dove ci fossero balconi, perché non si gradiva il chiacchiericcio tra vicini. Se si risultava morosi veniva attuata la “pratica del lucchetto”, le famiglie che si assentavano da casa al rientro la trovavano semplicemente impenetrabile.

3) La famiglia idolatrata, purché utile

Tra i “pregi” del fascismo spesso individuati vi è la grande tutela della famiglia che il regime operò fin dalla marcia su Roma. Bene, alla luce di quanto espresso precedentemente non è difficile concepire il vero motivo della salvaguardia dell’unità familiare: la famiglia era solamente la base del potenziamento demografico della nazione, una fornace dalla quale estrarre preziose braccia da lavoro. Ciò viene chiaramente spiegato dall’esistenza dei premi di natalità, che andavano, si badi bene, non a chi produceva il maggior numero di figli, ma bensì a chi produceva il maggior numero di figli “sani”: siamo al paradosso secondo cui un padre di cinque figli affetti dalla sindrome di Down non avrebbe mai vinto alcun premio.

Quanto alle donne, esse erano concepite come madri amorose, che avrebbero dovuto insegnare le pratiche igieniche alla loro prole, pratiche fondamentali per mantenere sani i fanciulli. Oltre al ruolo di madre e casalinga per le donne dell’epoca non c’è nulla, se non per una ristretta élite, ed infatti in quell’epoca vengono concepite, tra le scuole di avviamento professionale, anche quelle che avviano alla professione di casalinga. La scuola Edmondo De Amicis a Roma ne è un esempio: in questa si svolgevano laboratori di cucito ed economia domestica.

Certamente si tratta solo di alcune immagini della vita della popolazione sotto il regime fascista, ma si può ben parlare di una vita negata, poiché, annichilita ogni individualità, l’unica razionalità presente era quella che dall’alto guidava ogni cosa, quella di Mussolini.
Si può amare una tale gestione dello Stato solo a patto di non nutrire il benché minimo amore verso se stessi.
Fatelo presente al prossimo revisionista.

Valerio Santori
@santo_santori

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