Il 3 maggio 1837, Honoré De Balzac torna a Parigi dopo un viaggio a Milano. Qui ad attenderlo uno dei suoi creditori, William Dunckett, vuole mandarlo in prigione per debiti. Balzac è quindi costretto a rifugiarsi dalla contessa Guidoboni Visconti, presso la quale porterà a termine il suo romanzo “La femme supérieure” che solo nel 1844, nella sua forma definitiva, sarà intitolato “Gli impiegati”.

I temi portanti del romanzo sono suggeriti già dall’evoluzione del titolo: le donne comandano e governano gli affari degli uomini, li gestiscono e puntano sempre più in alto per cercare di ascendere in quella scala sociale che sembra essere la loro unica ossessione. Balzac non vuole quindi esaltare la figura della donna, ma mettere in luce i suoi aspetti oscuri e meschini, la sua capacità di complottare e agire per secondi fini.
Se solo l’uomo fosse capace di sfruttare questa materia allo stato grezzo entrambi potrebbero guadagnare qualcosa ma, purtroppo, non può farlo ed è destinato ad assumere le sembianze di una semplice arma.

Nel romanzo “Le illusioni perdute” noi uomini non siamo descritti come refrattari, ma come esseri che si modificano continuamente a seconda delle azioni che compiamo ogni giorno. Negli “Impiegati” Balzac immerge l’uomo all’interno del suo habitat e fa in modo che si evolva e si caratterizzi con esso. Mentre quindi i contadini sono permeati della natura, vivono con essa e subiscono sia le sue condizioni che quelle di coloro che manovrano il loro lavoro, gli impiegati non sono altro che delle pedine della burocrazia, rinchiusi nella loro gabbia che si costruisce in ufficio. La natura cambia i suoi connotati e quindi l’impiegato si muove nel suo «orizzonte che è limitato da ogni parte dalle cartelle verdi. Le circostanze atmosferiche sono l’aria dei corridoi, le esalazioni maschili compresse in stanze senza aerazione, l’odore delle carte e delle penne. Il suo terreno è il pavimento, o un parquet sparso di strani  detriti e inumidito dall’annaffiatoio del fattorino. Il suo cielo è un soffitto al quale indirizza i suoi sbadigli e infine il suo elemento è la polvere.» Questa descrizione suggerisce una sorta di morte civile, una condizione di stasi in cui questi lavoratori sono imprigionati e sono quasi felici di esserlo.

Balzac parla di una zona grigia, di un chiaroscuro in cui i suoi personaggi vivono, riconoscendosi tra loro come probabili alleati o nemici verso l’ascesa. Instillati in questo gioco darwiniano, ognuno di essi ha delle connotazioni (che siano fisiche o caratteriali) che ricordano fattezze di animali. Così la bella Célestine Leprince è una dolce farfalla che esce dal suo bozzolo; il segretario Phellion (che dimostrerà valori quali la solidarietà, l’amicizia e la giustizia in vista delle guerre di potere atte in ufficio) ha un viso da montone pensieroso; Elisabeth Saillard, donna machiavellica, è una donnola sempre in allerta e da suo padre (il cassiere del ministero, unico uomo che non temeva alcun cambiamento per la sua importante posizione) è descritta come un’astuta talpa in un mondo (quello della Comédie humaine) in cui il denaro è l’essenza invisibile del potere. Così anche Baudoyer è un povero animale da tiro per il suo fisico massiccio e per il fatto che non capisce mai fino in fondo cosa stia accadendo intorno a lui, perso in quell’idiozia che è anche la sua unica arma.

Gli impiegati non sono però tutti uguali e a seconda della loro provenienza (i parigini o i provinciali) hanno una dignità diversa. Gli impiegati provinciali sono più felici, risparmiano invece di indebitarsi, tutti li conoscono in paese, sono amati e hanno una bella famiglia, riescono ad essere «qualche cosa, mentre a Parigi gli impiegati riescono a malapena ad essere qualcuno» e rovinano se stessi e i loro cari in preda all’euforia di circondarsi di un lusso che non sempre possono permettersi. Il continuo astio presente in ufficio è reso da Balzac tramite uno specifico avvenimento: la morte di La Billardiere fa sperare a Xavier Rabourdin (impiegato ministeriale) per meriti e anzianità alla promozione. Il suo impegno e la sua costanza lo spingono a dedicarsi ad un piano per snellire e rendere più efficiente la riforma della pubblica amministrazione, ma tutto ciò si vedrà non poter bastare a causa delle ambizioni del suo collega Isidore Baudoyer.

Una caratteristica comune tra Balzac e Kafka è il circuire i propri romanzi all’interno di ambienti chiusi, a tratti claustrofobici e qui l’autore francese ha ben delimitato il luogo in cui l’onestà intellettuale non ha alcun valore nel gioco di astuzia e di contraddizioni. Così tutti gli intrighi e le sfaccettature che possono esistere nel mondo e nei rapporti umani vengono qui proiettati in una lotta di potere, i cui componenti sono legati tra loro da legami di sangue, creando degli intrecci imprevedibili. Varie sono le metafore cavalleresche, quasi a voler schernire delle persone che hanno rinunciato al cavallo bianco e al coraggio per una sedia e delle pratiche polverose, esistenze fragili che stanno distruggendo il loro tempo, in un mondo in cui il denaro è l’unico adito della ragione.

Alessia Sicuro

Laureata in lettere moderne, ha in seguito ha conseguito una laurea magistrale alla facoltà di filologia moderna dell'università Federico II. Ha sempre voluto avere una visione a 360 gradi di tutte le cose: accortasi che la gente preferisce bendarsi invece di scoprire e affrontare questa società, brama ancora di tappezzare il mondo coi propri sogni nel cassetto. Vorrebbe indossare scarpe di cemento per non volar sempre con la fantasia, rintagliarsi le sue ali di carta per dimostrare, un giorno, che questa gioventù vale!

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui