Il brainch della domenica: Appello alla Sinistra… perché rimanga divisa
Cari lettori,
domenica scorsa, al Teatro Brancaccio di Roma, si è svolta con folta e intensa partecipazione l’iniziativa voluta da Anna Falcone e Tomaso Montanari. Un successo di pubblico e di mediaticità, ma anche un luogo di critiche e conflitto, com’era lecito attendersi.
Erano davvero in tanti, al Brancaccio; forse in troppi, avrà pensato qualcuno. I fischi a Gotor, le proteste dirette verso D’Alema, il rifiuto netto di partecipare alla manifestazione del 1° luglio di Pisapia, non sono stati dei semplici contrattempi a corollario di un evento ben riuscito. In quelle polemiche si condensava – legittimamente – tutta l’insofferenza verso un ceto dirigente compromesso in modo irreversibile, palesemente fallimentare, quando non addirittura complice della deriva neoliberista in campo economico e sociale che ha condotto la Sinistra al naufragio.
Eppure, senza entrare nel merito delle intenzioni, e senza fare previsioni azzardate (il fatto che D’Alema fosse presente non significa automaticamente che Articolo Uno parteciperà alla lista della Sinistra unita, non possiamo essere così ingenui da crederlo), bisogna riconoscere che l’appello di Falcone e Montanari, che beneficiano di ben altra credibilità e autorevolezza, ha avuto il pregio di smuovere le sabbie da un fondale impantanato da rancori e sospetti, pregiudizi e gelosie.
Altrimenti perché tutta quest’attenzione verso una kermesse di vecchietti allampanati e prossimi alla pensione, che si scambiano pareri sui posizionamenti della Sinistra come se parlassero di bocce intorno a un pallino?
Naturale, se quel pallino si chiama Partito Democratico. Un’opportunità per alcuni, uno spauracchio per altri, un anatema per molti. A chi prefigura in lontananza una grande rivisitazione in salsa socialdemocratica tra un listone unico e il PD, non si può che rispondere con toni netti e a volte bruschi: nemmeno per idea.
Eppure c’è dell’altro. Questa continua tensione ad addensarsi e coagularsi, per poi scindersi e allontanarsi, questo inesauribile criticismo verso chiunque provi anche soltanto ad impostare un ragionamento franco, mette a nudo i limiti strutturali intrinsechi a qualsivoglia processo di campo. La Sinistra è mossa da forze centrifughe al suo stesso interno, tra coloro che sono spaccati dalla rabbia e dalla poca lungimiranza con cui le esperienze passate sono state gestite.
Personalmente, vedo con favore la caratura morale ed intellettuale di due personaggi come Anna Falcone e Tomaso Montanari; apprezzo il loro impegno, le loro idee, il loro mettersi in gioco con una disponibilità che sappiamo essere spontanea e non mossa da secondi fini o tatticismi. Sensazioni che non avrei potuto avere nel caso l’appello fosse stato lanciato da chiunque altro – Pisapia in primis.
Ma non basta. Non sono sufficienti le sale dei teatri e le linee programmatiche per far apparire meno forzato gli scopi di queste mobilitazioni: l’unità a tutti i costi. Col senno di poi, siamo sicuri che sia così indispensabile?
Bisognerebbe provare ad approcciarsi in modo differente. A capovolgere gli schemi logici, a partire non dal basso – “dal basso”: questo non-luogo senza coordinate precise, quest’atlantide degli stereotipi in cui vanno ad affondare velleità ed ispirazioni – quanto piuttosto a ridefinire una geografia della Sinistra che sappia guardare con benevola consapevolezza alle diversità che arricchiscono il patrimonio storico, politico e culturale delle varie moltitudini che la compongono.
Potremmo prendere ad esempio come metafora calzante l’Elogio dell’Italia disunita del paesologo Franco Arminio: riconoscere e valorizzare le diversità, accettare che non possa esistere un pensiero unico imposto acriticamente e per divina obbedienza alla classe politica, agli attivisti e ai militanti, al popolo, è il presupposto fondamentale per dare senso a un qualsiasi progetto comune, sia esso la lista per tornare ad esprimere una rappresentatività in Parlamento, sia esso, come più auspicabile, un impegno concreto fra le categorie e le classi sociali abbandonate a se stesse da decenni di inutili litigi e sterili contrapposizioni.
“Abbiamo bisogno di creature rivoluzionarie, non di manovali del rancore. Non mi piacciono gli scoraggiatori militanti, i luminari del disincanto, i piromani dell’entusiasmo. Mi fa schifo il sentire stitico, il rimanere rigidi perfino nel calarsi”, suggerisce ancora Arminio nelle sue pagine, e non potrebbe avere più ragione: se non è un esplicito riferimento alla Sinistra, ci assomiglia incredibilmente.
Con tali premesse, e visto che gli appelli vanno ormai di moda, sarebbe opportuno rivolgere l’appello più sensato che si possa produrre in questo momento: Sinistra, non unirti. Resta divisa e mostra ciò che sei realmente capace di fare quando non sei impegnata a criticare gli altri.
Buona domenica, lettori cari.
Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli
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