Il compito di un giornalista non è solo riportare notizie ma offrire chiavi di lettura su quello che accade nel mondo che ci circonda a livello sociale, culturale, politico. Passata la bufera mediatica, sembra opportuno fare il punto della situazione su quello che si è detto nell’ultimo mese in relazione al fenomeno stupro.

Quello che si è detto è esattamente il punto della questione. Al di là dei fatti concreti che segnano indelebilmente la vita della vittime e dei carnefici quando avviene uno stupro, ciò che influenza la società è il discorso mediatico relativo a quei fatti.

«La realtà esiste fuori dal linguaggio ma è costantemente mediata da e attraverso il linguaggio: ciò che possiamo conoscere e ciò che possiamo dire deve essere prodotto con e attraverso il linguaggio.»

(Stuart Hall, Codifica e decodifica nel discorso televisivo in Il soggetto e la differenza, a cura di Miguel Mellino, Meltemi, 2006)

E dal linguaggio dei nostri media sembra proprio emergere che la cultura italiana è profondamente sessista e razzista. Basta prendere in considerazione il dibattito sugli eventi relativi allo stupro di Rimini e a quelli avvenuti a Firenze.

A Rimini una coppia di turisti è stata aggredita sulla spiaggia da un gruppo di persone con probabile tasso alcolemico alterato, lui è stato picchiato e lei violentata. In seguito lo stesso gruppo ha violentato una seconda donna sulla statale. Nient’altro che una serie di fatti. Ma come sono stati presentati questi fatti al lettore italiano?

«Una coppia di turisti polacchi di 26 anni è stata aggredita la notte scorsa [venerdì 25 agosto] su una spiaggia di Rimini, in località Miramare, al bagno 130: lui picchiato e derubato, lei violentata ripetutamente da quattro persone che potrebbero essere straniere.» [Repubblica Bologna, 26 agosto 2017]

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Dalla pagina Facebook di Forza Nuova, inutile sottolineare l’utilizzo di un’iconografia apertamente fascista.

Dunque, i polacchi sono turisti, non sono stranieri. Gli aggressori invece sono stranieri, probabilmente immigrati, clandestini o giù di lì. Senza dubbio c’è un’enorme differenza tra una coppia di giovani biondi con gli occhi azzurri che gira in pantaloncini e sandali comprando souvenir e i malefici aggressori, senza ombra di dubbio islamici, con barba e pelle scura che stuprano le “nostre” donne.

All’interno di questa narrazione capita proprio a fagiolo il commento dell’ormai celebre Abid Jee, il “mediatore culturale (islamico)”, il quale scrive che «Lo stupro è un atto peggio ma solo all’inizio […]». Parole orribili, inutile sottolinearlo, rese ancora più gravi dal ruolo dell’autore, un perfetto sconosciuto, il quale però solleva l’attenzione mediatica di tutta la stampa italiana, che si scaglia contro di lui: che diritto ha un mediatore culturale, il cui sangue non è puramente italiano, di ammettere pubblicamente di sostenere la “cultura dello stupro”?

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Dalla pagina Facebook del segretario cittadino di San Giovanni Rotondo (Foggia), Saverio Siorini. Il post è stato prontamente cancellato e Siorini espulso dal partito “Noi con Salvini”.

Frattanto, nell’indifferenza generale, politici di un certo calibro si possono permettere di dire ciò che preferiscono, come quando augurano lo stupro «alla Boldrini e alle altre donne del PD», o aprendo le danze a commenti sessisti diretti alla suddetta presidente della Camera dei Deputati. Ma per questo nessuno si scandalizza più di tanto.

E, infine, non manca un po’ di sana transomofobia. Dopo aver spiegato che «Per la ragazza, che resta in ospedale ed è sotto choc, è stato subito attivato il protocollo sanitario previsto in caso di stupro, che comprende anche il sostegno psicologico.» (state tranquilli, le autorità italiane si stanno prendendo cura della nostra giovane turista) «[i pantaloncini] potrebbero condurre agli autori della violenza, gli stessi che avrebbero violentato anche una transessuale peruviano, lasciandolo poi ferito in strada, nella stessa notte.» [Repubblica Bologna, 26 agosto 2017]

A margine, solo a margine, si accenna anche all’altra vittima dello stupro, le condizioni fisiche e psicologiche della quale non sembrano interessare più di tanto. In fondo non sappiamo neanche esattamente che cos’è: vediamo come il/la giornalista di Repubblica sia in confusione, indeciso/a se si parli di una lei o di un lui. Nel dubbio li mettiamo entrambi, con una leggera preponderanza per il lui. Tanto non è una turista danarosa, è solo un’altra straniera (fortunatamente non ha “origini islamiche”), di dubbia sessualità e ancor più dubbia moralità, probabilmente una prostituta, che infestava le nostre strade. In fondo, se l’è andata a cercare.

E poi abbiamo l’altro caso, il caso di Firenze. Qui la situazione inizia a farsi imbarazzante perché purtroppo i probabili assalitori sono due carabinieri italiani. Mentre nel caso di Rimini era da subito indubbio che i cattivi fossero stranieri, quindi nessuno ha accusato la coppia di turisti di essere troppo svestita o ubriaca per andare in giro, nel caso dei carabinieri la prima reazione è stata di concedere il beneficio del dubbio agli accusati e di incolpare vittime di star mentendo: la maggior parte degli articoli parlano di «carabinieri accusati di stupro», non di carabinieri bestie feroci. Hanno fatto buon gioco una serie di foto fake, propedeutiche a un uragano di “victim blaming“.

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Dal blog abbattoimuri.wordpress.com

Certo il fatto che uno dei due abbia ammesso di aver avuto un rapporto con una delle due ragazze non è sufficiente. Quale carabiniere sano di mente stuprerebbe delle orribili studentesse americane «con tante belle italiane», ragazze che hanno la spudoratezza di vestirsi in maniera succinta, andare in discoteca e ubriacarsi («se loro erano ubriache i militari PURTROPPO hanno approfittato»), usi e costumi americani che qui in Italia non si sono mai visti. «Firenze non è la città dello sballo», ci tiene a sottolineare il sindaco Nardella. Speriamo che gli yankee residenti a Firenze abbiano imparato la lezione.

Certo qui c’è qualcosa che non quadra nella narrazione: se i colpevoli non possono essere i cattivi (è una bugia, sarà stato un raptus, sono stati provocati, ecc…) allora la colpa deve essere delle vittime.  A questo punto, non potendo negare l’evidenza che qualcuno appartenente all’amata arma dei carabinieri italiani abbia compiuto qualcosa che, consenziente o meno, non era proprio il caso di compiere mentre si svolge il proprio lavoro, i due carabinieri sono diventate due “mele marce”.

È con queste due “mele marce” che è bene concludere. Queste due storie, queste due narrazioni non sono affatto due “mele marce” all’interno del discorso mediatico italiano, ma sono il prodotto di un atteggiamento culturale italiano ed europeo nel quale le voci populiste e le destre sono più forti che mai.

Uno “scontro di civiltà” inventato e montato da discorsi così parziali e ideologici che a volte quasi non ci rendiamo conto di vivere in un paese in cui vige la legge del “due pesi, due misure” quando si parla di stranieri, in particolare di presunti “islamici”.

Emerge una cultura dello stupro che la nostra società non riesce proprio a superare, il cui effetto possiamo vedere sulla pelle di Asia Argento criticata e denigrata in merito al caso Weinstein. In entrambi i casi si tratta di un modo di dipingere la realtà che non è in grado di uscire fuori dai binari di una narrazione stereotipata e discriminatoria: da una parte, la normalizzazione della violenza di genere (si veda in merito l’articolo del 13 ottobre 2017 del direttore di Libero Renato Farina, accompagnato da un’immagine a dir poco imbarazzante); dall’altra parte, un continuo fomentare l’odio xenofobo da ogni piattaforma possibile e con qualsiasi arma possibile. Questo tipo di informazione è di fatto un rifiuto di assumersi le proprie responsabilità.

Un rifiuto di fermarsi a riflettere, ancora una volta, su quali siano le nostre radici culturali. Non sarebbe più costruttivo interrogarsi invece sulle ragioni profonde di una cultura ferma all’immagine stereotipata dello “straniero/immigrato” ed in cui si tende a proteggere in maniera acritica l’operato dei corpi armati, che pure così spesso si sono macchiati di violenze che spesso si è tentato di insabbiare, e magari aprire un dialogo trasparente sui valori che fondano questa cultura?

Non sarebbe più utile domandarsi come mai, mentre persino negli Stati Uniti (paese di tradizione culturale puritana e spesso ipocrita) l’universo culturale sta rompendo il silenzio in merito al caso Weinstein, esprimendo la propria solidarietà per le vittime e il proprio disprezzo per il colpevole di una serie di crimini a sfondo sessuale, in Italia trionfa il dibattito tra coloro che accusano Asia Argento di aver approfittato della situazione e chi, soprattutto donne, la critica in maniera generica per non essersi opposta alla violenza o addirittura averne approfittato?

Claudia Tatangelo

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