Le aspettative di molti studenti, forse, sono state disattese. Con la riforma della Buona Scuola, l’allora governo Renzi voleva permettere a tutti gli studenti la partecipazione ai percorsi di alternanza scuola lavoro, il cui obiettivo principale è quello di “incrementare le opportunità di lavoro e la capacità di orientamento degli studenti“, come si legge al comma 33 della tanto discussa legge 107/2015.
Tale alternanza scuola lavoro, però, non è stata formativa e dalla cronaca risulta che a volte sia stata anche utilizzata in modo inappropriato dai “datori di lavoro”.
Nessun dubbio sull’opportunità che viene concessa ai ragazzi, in particolare agli studenti di istituti tecnici e professionali, ma spesso il progetto si è rivelato uno strumento di sfruttamento degli studenti, che hanno lavorato al posto di qualcun altro, permettendo così all’azienda di avere a disposizione un lavoratore non retribuito, discorso che è stato sfruttato molto dalle numerose multinazionali che hanno aderito al progetto.
«Non sottostiamo alle regole di un’alternanza scuola lavoro che in realtà è schiavitù e quindi lavoro, vero e proprio, non retribuito» ha affermato, il 13 ottobre, al Fatto Quotidiano una ragazza che proprio quella mattina, a Milano, insieme a moltissimi altri studenti, ha manifestato contro l’idea di formazione che i governi Renzi e Gentiloni hanno portato avanti. Non sono rari, inoltre, i casi in cui i ragazzi sono stati costretti a pagare per accedere all’alternanza, come ha rivelato una recente inchiesta dell’Espresso.
I ragazzi che nelle ultime settimane hanno manifestato in tutta Italia, dopo essere stati oggetto di un sistema che non ha dato loro la possibilità di partecipare a esperienze lavorative consone agli studi intrapresi, hanno dovuto subire anche l’accusa di essere “bamboccioni” o “schizzinosi” da parte di molti adulti, spesso ignari della situazione o favorevoli all’alternanza scuola lavoro.
Questi “bamboccioni”, come sono stati definiti, hanno lavorato in aziende quali McDonald’s, Poste Italiane, Zara che non hanno permesso loro di ampliare le conoscenze e le competenze come avrebbero voluto. È proprio per questo motivo che, durante l’ennesimo sciopero, gli studenti hanno incendiato cartoni con la scritta Poste Italiane e hanno preso di mira i negozi di Zara e McDonald’s (come successo a Milano il 17 novembre). Addirittura un ragazzo, come raccontato dall’inchiesta realizzata dal collettivo Studenti Ribelli per i Giovani Comunisti di Salerno, ha svolto la sua alternanza scuola lavoro in un carcere. Nonostante la continua protesta da parte degli studenti, gli ultimi scioperi sono rimasti inascoltati dal governo e in particolare dal ministro Fedeli, sempre più convinta della positività della “Buona Scuola”.
La gran parte dei ragazzi critica il sistema di alternanza scuola lavoro che è stato costruito dal governo senza che prima fossero state comprese le necessità e le priorità degli studenti.
Tra le priorità, ovviamente, c’è quella di intraprendere un percorso che permetta loro di inserirsi con maggiore facilità nel mondo del lavoro e che garantisca una preparazione più ampia nel settore che hanno scelto. Al momento però l’alternanza non è riuscita a fornire le competenze che gli studenti cercavano.
Questo è il caso di una ragazza che, al Corriere della Sera, ha raccontato la sua esperienza: «Da commessa di un negozio di scarpe, io che frequento il liceo linguistico, che alternanza è?» o di molte scuole che, purtroppo, devono, per mancanza di alternative, mandare i ragazzi in alternanza in un call center, come nel caso del liceo scientifico Newton di Roma.
Tra le organizzazioni giovanili più attive nella lotta contro l’alternanza c’è l’Unione degli Studenti che il 29 maggio 2017 ha presentato alla Camera dei Deputati un’indagine nazionale sulla qualità dei percorsi di alternanza scuola lavoro. L’indagine, svolta su un campione di quindicimila studenti tra licei, istituiti tecnici e professionali, ha rivelato un dato inquietante e inaspettato: il 38% di questi ragazzi ha dovuto sostenere dei costi per svolgere questa attività che invece dovrebbe essere gratuita. Come se non bastasse, il 57% degli studenti presi in esame ritiene di aver portato avanti percorsi non inerenti al proprio percorso di studi e il 40% afferma di aver visto negare i propri diritti.
«Vogliamo lo Statuto delle studentesse e degli studenti in alternanza subito, ecco perché ne abbiamo scritto uno noi, già in vigore presso il Marzolla di Brindisi. Il nostro Statuto garantisce la gratuità dei percorsi, l’inerenza al proprio percorso di studi, istituisce le Commissioni Paritetiche, organi in cui studenti e docenti possono organizzare insieme le esperienze di alternanza scuola-lavoro e vincola le aziende al rispetto del Codice Etico dichiarando l’estraneità ad infiltrazione mafiosa, inquinamento del territorio e sfruttamento dei lavoratori.»
[Francesca Picci, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Studenti, intervistata dall’Avvenire l’1 giugno 2017]
L’alternanza scuola lavoro avrebbe dovuto essere il faro da seguire per entrare nel mondo del lavoro avendo già un bagaglio importante di esperienze, ma si è trasformata in uno strumento che sembra rendere il lavoro italiano sempre più incerto e sfruttato.
Andrea Lorusso