La forma dell’acqua paga l’effetto La La Land, ovvero arriva alla vigilia degli Oscar dopo aver fatto incetta di premi in giro per il globo e come favorito per la vittoria finale per la categoria “miglior film”. E quindi si crea quell’imbarazzo, tra chi si sente in dovere di apprezzarlo o chi di reputarlo una cagata su tutta la linea, di quelli che anche il singolo fotogramma gli sta sui cosiddetti, giusto per non perdere occasione di fare il bastian contrario.

Ma stavolta, nella penombra di questo tempio profano chiamato Libero Pensiero, sceglieremo la strada meno battuta e meno eccitante della via di mezzo.

La forma dell’acqua è un buon film? Sì.
Merita l’Oscar? No.
Da rivedere? Ma anche no.

Per dare consistenza a tali giudizi, proviamo a valutare il prodotto da più angolazioni, sperando che questo ci faccia giungere alla più armoniosa e concordi delle epifanie.

Poetica

Come si può non amare Guillermo Del Toro? La faccia pacioccona da furetto troppo ingrassato che ricorda un giovane George Lucas. Pensa poi che questo Furby gigantesco sia trasmettitore di un’arte cosi delicata, raffinata, elegante, che trova la sua sublimazione nel fantasy dark, lo rende praticamente irresistibile. L’amico, l’amante, lo zio, il nonno che  vorremmo ci leggesse una storia davanti al fuoco del camino.
La forma dell’acqua, quindi, lontano dall’essere un prodotto seminale per suggestioni e immaginazione, trova più di tutti gli altri della sua produzione il tocco del regista, giunto ormai alla sua forma più compiuta nello stile e nell’estro. È una poesia di immagini, di suoni e di ambienti, armonizzati all’interno di una favola moderna. Delicata e garbata, anche nelle scene più crude o in quelle che strizzano l’occhio al softcore, soprattutto per come riesce a descrivere la vicinanza, le emozioni, l’intimità, il contatto col diverso.

La forma dell'acqua del toro

Narrazione

Ma il suo grande pregio, questa spiccata sensibilità e delicatezza espressiva, è forse anche il suo più grande limite. Nella continua ricercatezza dello stile, si sacrifica la narrazione e il pathos di alcuni momenti, un colpo mortale che non permette al film di giungere quanto vorrebbe allo spettatore. L’empatia per il “mostro” manca, così come per la protagonista, resa muta da bambina e per cui si prova solo una tenera e contingente pietà.
La retorica cinematografica di Del Toro fa un passo indietro proprio quando dovrebbe mostrare ed essere didascalico, soprattutto con le immagini, e si trova invece a sfasare i tempi delle sequenze chiave che lasciano un inspiegabile senso di mutilazione. Questo sempre per tenere fede a questo stile ovattato, perché La forma dell’acqua è come un abito di seta: bellissimo, che scivola addosso, ma a volte dimentichi di averlo indossato.

Tematica affrontata

Parliamo di solitudine, della protagonista muta, del mostro, delle minoranze etniche e sessuali, ma è una solitudine che percepiamo appena, che non sentiamo nostra. Manca tutta quell’impalcatura narrativa, quel climax emozionale e semantico che avrebbe permesso una migliore riuscita dell’intento. Manca la scossa, quel passaggio in grado di farti piangere o urlare dalla disperazione. Il film si ferma un attimo prima, come un coito interrotto.
Perché? Perché essenzialmente, La forma dell’acqua è un film di personaggi.
Ci soni film diventati cult, non per quello che raccontavano né per come lo raccontavano, ma per chi lo raccontava. I personaggi, appunto; coloro che portano avanti una storia e sono in grado di occultare le fenditure della stessa, perché sono così approfonditi – o vuoi perché portatori di filosofie di vita o di zeitgeist del tempo – tali da squarciare il nostro immaginario e mettere casa lì. Il Drugo de Il Grande Lebowski è cosi. E sui personaggi di Del Toro è stato fatto un lavoro simile, caratterizzandoli approfonditamente per fisiognomica, personalità ed etica. Tutto è finalizzato alla loro cesellatura che si avvicina ma non cade mai nello stereotipo. Applausi. Ma questo ha di fatto sacrificato (troppo) la buona diegesi che aveva un potenziale enorme per quanto classica nell’impostazione.

la forma dell'acqua del toro

Comparto tecnico

Messinscena perfetta. Non solo nella descrizione dell’America a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, in piena guerra fredda, ma anche per come il film riesce a comunicare lo spirito del tempo attraverso l’arredamento e gli oggetti di scena: dagli stessi si può evincere lo spirito ipocrita, perbenista, puritano e stolidamente proiettato al futuro dell’America moderna. Una società dell’apparire lucida e impeccabile, di figli meritevoli del progresso e di una cloaca di reietti a cui tutto ciò era negato.

La forma dell’acqua è, in sintesi, un film che parla di solitudine, di linguaggio, nella veste elegante del romance favolistico. Una pellicola dalla forma impeccabile ma dalla retorica non sempre efficace. Un ottimo esercizio di stile ma che tale è destinato a rimanere.

Enrico Ciccarelli

Sociologo, specializzato in Comunicazione pubblica, sociale e mediale. Giornalista. Scrittore. Cinemaniaco, appassionato di storie.

1 commento

  1. Non sono d accordo

    L’ho rivisto x la seconda volta per capire deu dettagli di alcune scene che non avevo compreso nella prima
    Forse non merita di essere rivisto ma è personale che non tocchi il cuore e non si percepisce la solitudine no dall’ambientazione ai personaggi e alle loro vite eccome se arriva la loro “miseria” e ci sono scene quelle nell’acqua che fanno sognare

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