Fino ad oggi protagoniste nella gestione del problema migranti, le ONG stanno attraversando un periodo difficile. Queste organizzazioni no-profit hanno visto il loro raggio d’azione enormemente limitato da una serie di decisioni prese dai governi nazionali durante quest’estate, provvedimenti che hanno modificato radicalmente l’andamento dei flussi migratori.
Innanzitutto il Codice di Condotta, varato dal Ministero dell’Interno italiano e a cui solo 5 ONG sulle 9 operanti nel Mediterraneo hanno aderito. E poi la zona SAR (Search and Rescue) istituita dalla Guardia Costiera libica ben oltre le 12 miglia delle acque territoriali, accompagnata da minacce più o meno velate («Vogliamo inviare un chiaro messaggio a tutti coloro che violano la sovranità libica e mancano di rispetto alla Guardia Costiera e alla Marina», ha dichiarato il portavoce della Marina libica) che hanno spinto Medici Senza Frontiere, Save The Children e Sea-Eye a sospendere le attività di soccorso per salvaguardare l’incolumità di navi ed equipaggio.
Ma qual è stato finora il ruolo delle ONG nel gestire il flusso di migranti? E com’è possibile ripensare una strategia umanitaria in assenza di queste organizzazioni?
Le ONG scendono in campo nel Mediterraneo intorno alla metà del 2015, in uno dei momenti più critici dell’emergenza immigrazione. La missione Triton di Frontex, varata nel novembre del 2014, stenta a dare i primi frutti, e la mortalità in mare è ai massimi storici. Secondo i dati del rapporto “A Perfect Storm” di Amnesty International, il 6.2% delle persone che ha tentato la traversata tra il mese di gennaio e di aprile del 2015 non è riuscito ad arrivare vivo in un porto sicuro. Da aprile 2015 però, complice il maggior impegno dei governi nazionali con l’apporto delle ONG, la situazione migliora. La mortalità cala fino ad arrivare allo 0.89% alla fine del 2015, e la stessa Amnesty in un rapporto del luglio 2015 parla di un “mare più sicuro”.
Nel 2016 si verifica un passo indietro. Gli sbarchi aumentano (si passa dai 153.000 arrivi del 2015 ai 181.000 del 2016) e gli scafisti costringono i migranti a viaggiare in condizioni ancora più disumane: al posto delle imbarcazioni in legno diventa sempre più frequente l’uso di gommoni, che spesso non hanno carburante a sufficienza per completare la traversata; inoltre, le partenze avvengono quasi sempre di notte o in cattive condizioni, ed è spesso assente qualsiasi mezzo che permetta la localizzazione satellitare dell’imbarcazione. A causa di questo insieme di fattori, la mortalità risale intorno al 2.5%. Le ONG decidono quindi di operare più vicino alle coste africane, complice la situazione di instabilità politica vigente in Libia, ed entrano nella fascia tra le 20 e le 50 miglia dalla costa. È qui che nascono le accuse che attribuiscono alle ONG rapporti criminali con gli scafisti, accuse la cui fondatezza però non è mai stata verificata.
Ad inizio 2017 la situazione si preannuncia anche peggiore: 73.380 sbarchi in sei mesi, mortalità al 2.8%. L’Europa è assente, impegnata nelle trattative con la Libia per la stabilizzazione del Paese, e le ONG fanno fatica a operare da sole. Verso luglio, però, la svolta: le partenze dalla Libia calano a picco e il governo di Tripoli riprende a sorvegliare con forza le sue acque territoriali.
Siamo giunti alla soluzione del problema? Neanche per sogno.
Diversi rapporti ONU hanno denunciato rapporti di collusione tra la Guardia Costiera libica e alcuni scafisti, e numerose associazioni per i diritti umani hanno segnalato violazioni e abusi nei confronti dei migranti che arrivano in Libia per tentare la traversata. Si calcola che nei centri di detenzione per immigrati siano detenuti oltre 270.000 migranti, che per alcune stime diventano quasi un milione. Di questi, circa 40.700 sono rifugiati politici o richiedenti asilo, bloccati in Libia senza possibilità di tornare indietro o arrivare in Europa.
L’impressione è che il governo libico non sia pronto a gestire un fenomeno di questa portata e che la fretta dell’Europa di lavarsene le mani sia dovuta più a logiche elettorali che umanitarie. Fino a che non verrà dimostrato il contrario, bisogna dire che le ONG hanno gestito la vicenda in maniera esemplare, occupandosi dell’aspetto umanitario e cercando di rimediare alla colpevole assenza degli Stati europei. Il rischio di doverle presto rimpiangere è sempre più alto.
Simone Martuscelli