«Le leggi sono spiegate, interpretate ed applicate in maniera ineccepibile da quanti hanno interesse e abilità nel pervertirle, confonderle ed eluderle.»
La citazione, tratta dal romanzo di Jonathan Swift “I viaggi di Gulliver”, è la limpida trasposizione dell’efferata critica che il suo autore muove nei confronti dell’Inghilterra del diciottesimo secolo, contro la sua politica, contro la società e i costumi bizzarri dell’epoca, contro un’umanità così individualista e così disonesta.
Lemuel Gulliver, medico di bordo di mezza età, appartenente alla classe borghese, si ritrova catapultato in terre ignote e misteriose, a causa del suo sterminato amore per i viaggi. Ognuna di esse è abitata da persone dallo strano aspetto e dalle inconsuete abitudini. Sull’isola di Lilliput, su cui naufraga durante il suo primo viaggio, dimorano i lillipuziani, omini alti 15 cm, animati dalla salda convinzione di essere il popolo migliore del mondo. Gulliver, dopo aver giurato fedeltà al sovrano e dopo essere stato accolto a corte, dispensa consigli circa la situazione politica in cui versa il regno lillipuziano nella guerra contro l’isola di Blefuscu, riguardante quale estremità di un uovo doveva essere rotta per prima.
Il conflitto non è altro che una cristallina allegoria della lotta che al tempo coinvolgeva la Francia e l’Inghilterra, disputata per motivi insensati, quali quelli religiosi.
Il secondo viaggio conduce il protagonista a Brobdingnag, nazione popolata da giganti. Gulliver è braccato dal delirante razzismo che, come una malattia, affligge tutti gli abitanti di quella terra. Egli diventa fenomeno da baraccone, è costretto continuamente a dare spettacolo per la sua conformazione fisica differente, essendo vittima di umilianti derisioni e svilenti insulti. Al pari di lame di un coltello affilato, egli avverte l’animalesca brutalità dell’essere “diversi” e di non riuscire in nessun modo ad essere accettato dalla popolazione.
La sua condizione non è dissimile da quella attuale di molte persone che emigrano e la cui esistenza diviene ancor più difficile a causa dell’emarginazione, dell’immotivato allontanamento che subiscono silenziosamente. E proprio quei giganti, quei mostri dalla dubbia capacità di riflessione, seppur dall’aspetto fastidiosamente borghese e impeccabilmente impettito, hanno i nostri stessi volti menefreghisti, gli stessi tratti somatici impietosi e diffidenti.
«Il nano della regina, che aveva la più piccola statura che mai si fosse vista in quel paese, quando ebbe trovato un uomo tanto più piccino di lui diventò insolentissimo, e non faceva altro che offendermi e tormentarmi. Mi guardava con cipiglio fiero e sdegnoso, e mi derideva sempre per la mia corporatura quando mi passava vicino, durante le mie conversazioni coi signori e le signore di corte, e aveva sempre qualche parola pungente sulla mia piccolezza.»
Nella città di Laputa albergano scienziati, matematici, studiosi di ogni disciplina, apparentemente assetati di cultura e progresso, ma eruditi di una conoscenza sterile ed improduttiva, perché non applicata a fini pratici. Il paese, infatti, passivamente giace in un miserevole stato, gli edifici crollano, la gente non dispone di cibo e acqua. Con questa cruenta descrizione, Swift traccia una calzante allegoria della titanica (e grottesca) fiducia che l’uomo riponeva nelle scienze al tempo del trionfo del razionalismo.
Il quarto viaggio di Gulliver lo trasporta sull’isola di Luggnagg, dove incontra gli struldbrug, dotati del “dono” dell’immortalità, ma privi di giovinezza. Essi sopravvivono alla stregua di vegetali, essendo lacerati da malattie e da infermità del corpo, non alimentandosi più, non disponendo delle funzioni cerebrali. Fuor di metafora, il diritto alla vita è il fondamento su cui si edificano le costituzioni e le religioni di tutti gli Stati, ma allo stesso tempo, deve esulare dal tramutarsi in una vera e propria imposizione, che costringe gli uomini a vivere senza vita.
«L’uomo più decrepito spera sempre di vivere almeno un giorno in più, e considera la morte come il peggiore dei mali.»
L’ultima parte del capolavoro di Swift è ambientata nella terra degli Houyhnhnm, creature simili a cavalli la cui intelligenza e saggezza rasentano la perfezione, sebbene convivano con degli esseri dalle sembianze umane, imbarbariti e degenerati, il cui soprannome è yahoos. È usanza degli indigeni, infatti, accompagnare con il termine yahoo qualsiasi appellativo per caricarlo di un’accezione alquanto negativa. Gulliver, al cospetto di ciò, si vergogna di appartenere alla razza umana, così infida e bestiale, disposta a far la guerra per soddisfare la sua repellente perversione.
Al ritorno da quest’avventura, il protagonista, ormai disgustato dalla propria razza, non riesce più a sopportare persino l’odore degli uomini, tentando il più possibile di tenersi lontano da loro, dai loro vizi abietti, dalle loro luride idee.
Clara Letizia Riccio