Sono trascorsi quasi quattro anni dal 26 giugno 2012, da quando uno scontro a fuoco spezzò la vita di Andrea Nollino lasciando una città intera, quella di Casoria, nello sconforto e nell’indignazione.

Tante le dimostrazioni d’affetto e di solidarietà, le fiaccolate popolari e le manifestazioni di commemorazione. Eppure, di quella mattinata così tragica, nella sua insensata accidentalità, non resta che un nome impresso su una lapide di marmo e sulle coscienze addormentate dall’indifferenza.

Andrea Nollino è una vittima innocente della criminalità: così riporta il sito Vittime Mafia e così riporta anche la Fondazione Polis. Tuttavia, nessuno è stato in grado di individuare il colpevole di una tale aberrazione e le indagini, giunte su un percorso senza sbocco, sono state archiviate. E con esse, la possibilità di vedersi riconosciuto ufficialmente lo status di vittima di mafia. Nel frattempo, della videosorveglianza promessa per evitare il ripetersi di un simile evento a Casoria non c’è alcuna traccia. Come non c’è traccia di nessuna di quelle promesse che furono urlate allora con gran sdegno.

Quanto occorre per dimenticare? Il tempo di una campagna elettorale? Dopo quattro anni, la famiglia di Andrea è stata lasciata sola. Venduto il bar di famiglia, la moglie Antonietta ha iniziato a lavorare presso una cooperativa che opera in appalto per conto del Comune. Ma nel frattempo, l’amministrazione è caduta, e l’ente pubblico si è scoperto sull’orlo del dissesto finanziario. I pagamenti hanno perso regolarità, la cooperativa non paga gli stipendi da oltre cinque mesi, e quelle parole di rabbia sono diventate un silenzio spietato da parte di chi dovrebbe aver cura dei propri cittadini ed usa invece scuotere il capo e negare la dignità dopo aver negato la vita.

Oggi le difficoltà, per la famiglia di Andrea, sono all’ordine del giorno e si fanno più pesanti via via che il tempo trascorre senza esito. C’è chi porge una mano e prova ad aiutare: amici, familiari, la parrocchia dove sono cresciuti, quella di San Mauro. Ma non basta. Non può bastare. Perché non è accettabile che la camorra semini morte e paura incuneandosi là dove le istituzioni sanno fare solo spallucce ed offrire una solidarietà di facciata. Perché, allo stesso modo, un’esistenza non può liquidarsi chiudendo le indagini e palesando tutta l’incapacità di fare fronte a un’ingiustizia.

Antonietta mi racconta in breve delle difficoltà quotidiane, del gioco delle istituzioni a farsi da scaricabarile reciproco. Mi fa leggere l’articolo apparso sul Mattino venerdì 19 febbraio, mi racconta dell’incontro con il presidente della Regione De Luca. “Gli ho inviato una fotocopia dell’articolo in una busta chiusa, ma dalla segreteria nessuno ha mai risposto”, mi dice. È spazientita, ha perso fiducia – e come darle torto – ma conserva l’energia della madre che combatte per offrire un futuro ai suoi figli, e lo fa con una caparbietà fuori dal comune, nonostante il destino abbia deciso di porle sulla strada delle sfide che avrebbero stroncato chiunque.

Combatte, Antonietta, a differenza di quello Stato che propaganda tutele e diritti salvo poi lavarsene le mani al momento di fare qualcosa. E la morte di Andrea diventa l’ennesimo fallimento di un popolo incapace di arginare la convinzione che ribellarsi sia inutile, che i giusti debbano stare zitti per evitare guai peggiori. Meriterebbe certo altra sorte, chi si è visto strappare via con violenza la persona amata, ed è per questo che diventa necessario un appello collettivo: a quelle istituzioni latitanti, alle associazioni che si prodigano per contrastare la camorra, ai cittadini di Casoria e non, affinché la storia di Andrea non diventi l’ennesimo brutto sogno che si racconta sottovoce per esorcizzare e poi dimenticare, e non passi l’idea che in questa quotidiana guerra per la sopravvivenza il nemico abbia sempre un proiettile in più.

Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli

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