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Intervista a Karolina Mosiej, organizzatrice della manifestazione di Roma

Lunedì, la protesta pro-choice è andata in scena in tutta la Polonia, ricevendo sostegno da diverse città europee, fino a toccare Canberra, Melbourne e Sydney. Abbiamo intervistato l’organizzatrice della manifestazione di Roma, Karolina Mosiej.

La protesta del 24 ha visto mobilitazioni di solidarietà da tutta Europa. Ho però avuto l’impressione che in Italia in pochi fossero a conoscenza della situazione polacca. Tu che idea ti sei fatta? C’erano molte persone a manifestare a Roma?

Per rispondere è necessario sottolineare che la manifestazione del 24 è stata un “secondo round” per come lo hanno definito le stesse organizzatrici polacche. La manifestazione che ha dato il via al tutto, tenutasi il 3 ottobre, ha avuto molta più solidarietà e adesione con proteste che si sono tenute a Bologna, Torino e Roma.

A Roma hanno manifestato circa 20 persone ma la questione numerica è da vedere in un’ottica più ampia. Da una parte la comunità polacca non è molto grande a Roma, dall’altra molte donne e ragazze polacche lavorano in condizioni che non le permettono di parteciparvi.

In conclusione potrei aggiungere che il tempo per poter organizzare una protesta più partecipata non è stato sufficiente. La protesta del 24 è stata organizzata in una settimana.

Capisco. Credi che, tra le italiane e gli italiani (diciamo in base alla tua esperienza diretta), ci sia consapevolezza di ciò che sta accadendo in Polonia in termini di aborto e diritti della donna?

Credo purtroppo di no.           

Sostanzialmente coloro che percepiscono la situazione sono le persone che hanno uno stretto legame con la Polonia.

Come potresti spiegare a un italiano o a un’italiana perché queste donne sono scese in piazza? Se la domanda ti sembra troppo generale, posso chiederti: “potresti spiegare a un’italiana/o perché tu, personalmente, sei andata a protestare?”

Rispondo a entrambe le domande.

Le donne polacche sono scese in piazza perché si sono ritrovate, in parole povere, in una situazione di privazione di diritti. Già, in questo momento, la situazione delle donne, in generale, non è delle migliori, e di fronte a una privazione ancora più concreta e reale (ricordo che è stato presentato un progetto di legge che vietava totalmente l’aborto) sono state costrette a manifestare per impedire che la situazione peggiorasse. Questo fortunatamente ha portato ad altre manifestazioni e all’approfondimento di altre questioni riguardanti la libertà della donna, i suoi diritti e le violenze di ogni genere che subisce.

Personalmente ho partecipato e ho organizzato la protesta in forma di solidarietà perché, in primo luogo, sono una donna e non riesco proprio ad accettare che nel 2016 io non possa ancora decidere nulla a proposito del mio corpo. In secondo luogo perché sono polacca e quindi mi sembrava doveroso non solo sostenere una protesta di cui mi sento pienamente parte, ma anche per poter evidenziare la questione nella società italiana in cui vivo. Tra le altre motivazioni aggiungerei anche quella che riguarda proprio le donne italiane, invece. Perché, per quanto la protesta si concentri sulla situazione polacca, credo che sia solo un sintomo di un panorama più ampio. L’informazione e, soprattutto, la consapevolezza che le donne non sono sole, può solo che unire nella lotta.

In effetti è stato un segnale importante che la protesta “polacca” e quella “argentina” si siano supportate a vicenda, non credi? Dato che parli di donne italiane, poi, volevo chiederti cosa ne pensi del Fertility Day. Viene da pensare che la situazione qui sia migliore a livello legislativo, ma forse non a livello di mentalità.

Il segnale è ovviamente importante e il legame che si è instaurato è ancora in crescita. Infatti, sono previste molte manifestazioni sia in America Latina che in Europa e tutte sono collegate da una stretta rete di contatti e legami. Colgo l’occasione per dire che proprio in Italia si sta organizzando una manifestazione nazionale il 26 novembre a Roma che non solo unirà le donne e gli uomini italiani, ma sarà sostenuta da varie realtà in tutto il mondo.

Il Fertility Day invece, mi ha molto sorpreso. Non credevo si potesse arrivare a una situazione del genere e credo che sia vergognosa sia come iniziativa che come impostazione mentale e comportamentale. Credo che in Italia la questione è molto complicata e che non ci sia molta differenza da un’impostazione mentale e dalla rete legislativa. Personalmente credo che si rispecchino a vicenda.

A Bologna, il 3, c’erano almeno un paio di credenti. L’immagine di una protesta atea è sbagliata, giusto?

Sì, la fede personale rimane personale. Per questo non so se le persone che hanno partecipato a Roma fossero credenti o no. Erano ragazze e donne italiane e polacche, provenienti da diverse realtà, attiviste e non, giovani e meno giovani. La protesta non ha una religione, va al di sopra di essa. Così come in teoria dovrebbe essere ovvero che la fede o una religione, non deve interferire con una questione di diritti, libertà o politica.

Pensi chi ha preso parte a Czarny Protest si accontenterebbe di non veder ristretto il diritto all’aborto o vorrebbero cambiare la legge attuale, comunque abbastanza rigida?

Credo, e spero, che sia troppo tardi ormai per accontentarsi di quello che c’è. Credo che questa vicenda abbia permesso una riflessione così ampia. Spero che ne saranno tratte le dovute conclusioni e ne nascano le giuste conseguenze. Anzi, auguro alla Polonia che sia così. 

Luca Ventura

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