Napoli ci serva ad ogni passo arte e bellezze, è un’immortale fotografia di pagine dolorose di storia e di forti speranze per il futuro che c’è stato e per quello che verrà.
Ma proprio passeggiando tra le sue strade, portatrici della memoria delle più illustri personalità, mattoni che uno ad uno hanno creato la sua essenza, si va incontro a quello che sembra essere un sintomo di memoria corta. “A Napoli nessuna strada porta il suo nome mentre su Marte vi è un cratere a lui dedicato” osservò nel 2016 Massimo Della Valle (direttore dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte), riferendosi allo scienziato seicentesco Francesco Fontana.
Questo intervento segnò il suo discorso durante la manifestazione organizzata presso l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli. Tale evento nacque per seguire l’ammartaggio della sonda EXMARS, al cui interno vi è una stazione meteo, DREAMS, progettata da un team di scienziati guidati da Francesca Esposito (ricercatrice di Della Valle) che si propone – nell’ambito del progetto EXOMARS 2016, prima fase del più ampio programma spaziale europeo – a far arrivare sul pianeta rosso un rover nel 2020.
Con il riferimento a Francesco Fontana, Massimo Della Valle sembra aver quindi creato un filo rosso che vede il costante impegno napoletano in ambito della scoperta astronomica, dal Seicento ad oggi, mettendo in luce una memoria che non va di certo obliata.
Francesco Fontana, un uomo che ammirava il cielo e che ha fatto di questo il suo mestiere, scriveva nei suoi taccuini del grande genio di Galileo, l’uomo del cannocchiale che, a sua detta, avrebbe perfezionato il telescopio che lui credeva fosse stato inventato dal napoletano Giovanni Battista della Porta nel 1589.
Quando, nel 1608, parlerà della sua rivoluzionaria invenzione, Francesco Fontana avrebbe rivendicato il suo telescopio, un cannocchiale kepleriano più potente di quello di Galileo Galilei.
Francesco Fontana ci porta anche testimonianze di alcuni padri gesuiti di Napoli che affermano di aver usato il suo telescopio nel 1614, dato questo che suggerisce che lo scienziato avrà atteso circa sei anni prima di mostrare al pubblico la sua opera perfezionata e compiuta. Ancora, un manoscritto, oggi conservato presso il Museo del Tirolo, dimostra che Maximilian III possedeva un telescopio kepleriano ed è significativo il fatto che nel 1616 Fontana fosse l’unico in grado di costruirne uno.
“Ormai si ritiene che Keplero nel suo Dioptrice del 1611, pur descrivendo l’immagine prodotta da due lenti convesse, non pensava minimamente ad un telescopio, e in ogni caso né lui né altri ne hanno costruiti sulla base di questa preposizione” ci suggerisce l’astronomo dell’Inaf Paolo Molaro.
In più Fontana ha inventato il menisco ottico con la possibilità di costruire telescopi lunghi fino a 13 metri e che anticipano di molti anni la fase dei lunghi telescopi di Hevelius.
Sfruttando questi strumenti Francesco Fontana iniziò a costruire cannocchiali e lenti per le corti di tutta Europa, e a disegnare tutto ciò che era in grado di vedere. In questo modo è riuscito a proporre delle illustrazioni particolareggiate (per l’epoca), portatrici di importanti dettagli per la svolta scientifica e astronomica.
Ritroviamo quindi nel libro del 1646 alcune incisioni della Luna che risalgono al 1629. Grazie ad una risoluzione del suolo lunare ottima per quell’epoca, Francesco Fontana è stato anche il primo a osservare i crateri maggiori con la caratteristica raggiera (ha anche poi denominato Fontana Maggiore il cratere di Tycho). Per primo ha contemplato il bordo irregolare della Luna e si era forse accorto già allora del movimento di librazione scoperto da Galileo nel 1638.
Tra il 1630 ed il 1650 si dedicò allo studio del pianeta rosso, del quale realizzò il primo disegno.
Tra le scoperte di Francesco Fontana si annoverano le fasi di Mercurio, le fasi parziali di Marte (visibili se osservato in quadratura) e il fatto che sia Marte che Giove ruotino su se stessi. Si tratta di informazioni non di poco conto dato che hanno posto le prime basi sul dubbio dell’esistenza della sfera celeste tolemaica. Ancora, l’occhio indagatore di Fontana ha potuto per primo osservare le bande di Giove, che a volte sono due e talvolta 3. Di Saturno è poi andato vicinissimo ad intuire la natura degli anelli, cosa che ha influenzato per sua stessa ammissione le ricerche di Huygens.
Alessia Sicuro