Esistono malintesi dotati di grande forza persuasiva e perciò capaci di condizionare le società che intaccano. In tema di terrorismo, uno di questi malintesi è la mancata distinzione tra foreign fighters, attentatori e immigrati.
All’indomani di un attacco jihadista in Occidente, il cittadino europeo ha bisogno di qualcuno che assicuri di sapere dove sia la falla e come aggiustarla. La retorica populista, fiutata l’occasione, entra in gioco quando i corpi delle vittime sono ancora caldi e grida all’invasione causata da un’immigrazione sfrenata. A quel punto, persino il terrorismo in sé passa in secondo piano, né viene fatta menzione dei foreign fighters: i problemi sono gli immigrati, la favola dell’integrazione e le porte troppo aperte.
Guardando all’Italia, il sondaggio commissionato da ISPI e RaiNews24 e condotto dall’IPSOS è indicativo.
Alla domanda «Qual è la minaccia più grave per l’Italia?» il 48% degli intervistati ha risposto “La crisi economica”, il 23% “L’immigrazione”, il 9% “La diffusione di ideologie e movimenti di stampo populista” e l’8% “Il terrorismo islamico”. Cercando di interpretare questo primo dato è possibile arrivare a due deduzioni interdipendenti:
- la preoccupazione più diffusa è la crisi economica e di conseguenza la stabilità in termini “monetari”;
- è plausibile che l’immigrazione, seconda solo alla crisi economica, sia ritenuta una minaccia più in termini economici che non in termini di sicurezza nazionale.
Stando così le cose, risulta evidente che nei periodi di media-bassa tensione internazionale il cittadino non tenda a identificare negli immigrati una minaccia primaria e soprattutto strettamente legata al terrorismo.
Ma il sondaggio va oltre e affronta il problema delle cellule terroristiche interne, ponendo agli intervistati una domanda specifica: «Secondo lei, da quando è nato l’IS (giugno 2014), quanti terroristi coinvolti in attacchi in Occidente sono immigrati irregolari o richiedenti asilo che vivono nel nostro paese?».
L’esito dimostra che la percezione non corrisponde alla realtà. Per il 46% degli intervistati la responsabilità degli attentati va attribuita in larga misura a immigrati irregolari o richiedenti asilo, ma i fatti dimostrano che solo l’11% degli attacchi terroristici sia riconducibile a queste categorie e lo studio chiarisce che nel 73% dei casi l’attentatore è un cittadino dello Stato colpito – dato a cui ascrivere anche la percentuale di foreign fighters rientrati.
Tuttavia, nella propaganda messa in atto da movimenti politici di forte stampo populista, i termini cittadino radicalizzato e foreign fighters non esistono, sono delle non realtà, parimenti inesistenti sono anche i termini rifugiati e profughi. L’unica parola che gode di attenzione è immigrati, o al massimo richiedenti asilo. In quest’ottica, gli immigrati sono coloro che arrivano illegalmente in Italia, abusano dell’ospitalità e pianificano attentati ai danni del Paese o ai danni degli Stati europei, contraccambiando con il terrorismo la bontà dei padroni di casa.
Si apre in tal modo una caccia alle streghe che sceglie un colpevole e aggira l’ostacolo più grande: la radicalizzazione avviene tra le mura domestiche, non sull’uscio di casa.
«Lo studio ha evidenziato che il 73% degli attentatori è rappresentato da cittadini del paese in cui è stato perpetrato l’attacco. Questo dato corrobora ulteriormente l’ipotesi della natura prevalentemente autoctona della minaccia attuale – anche se in un contesto di crescenti timori in merito alla possibile infiltrazione di terroristi nei flussi di migrazione verso l’Occidente. […] Lo studio ha sottolineato che gli hub gravitanti attorno a figure carismatiche rappresentano un fattore determinante per i pattern di radicalizzazione; tuttavia, allo stesso tempo è essenziale riflettere sul fallimento dei vari modelli di integrazione nei vari paesi occidentali, un altro elemento rilevante.»
dal rapporto “Jihadista della porta accanto. Radicalizzazione e attacchi jihadisti in Occidente”
Citando quanto affermato da Bauman in occasione di un’intervista, «identificare il “problema immigrazione” con quello della sicurezza nazionale e personale, subordinando il primo al secondo e infine fondendoli nella prassi come nel linguaggio, significa aiutare i terroristi a raggiungere i loro obiettivi». Ma significa anche sottovalutare che nel caso dei foreign fighters, ad esempio, il vero pericolo è dato dal “problema migrazione“, ossia da quell’insieme di fattori che collabora alla radicalizzazione e convince dei soggetti a migrare nel sedicente Stato Islamico, divenendo un pericolo per se stessi e per l’Europa.
Un risultato controproducente messo in moto da chi sostiene di avere a cuore il benessere e la sicurezza del popolo italiano.
La realtà così manipolata restituisce diffidenza che se acuita diviene odio, e l’odio è da sempre promotore di morte e diritti violati – il 26% degli intervistati dal sondaggio già citato si è dichiarato disposto ad accettare “la sospensione di alcuni diritti“ per fronteggiare il terrorismo, una percentuale che seppur minoritaria rappresenta una spia importante dei livelli di frustrazione di una popolazione confusa.
Confusa da informazioni contraddittorie e da propagande che pur trattando gli immigrati come nemici rigettano l’accusa di razzismo, le stesse che pur classificando i reati in base alla cittadinanza dei colpevoli condannano la xenofobia.
Né destra né sinistra né centro né apartitico: le propagande che, identificato il punto più fragile di una società, infieriscono per trarne giovamento non hanno orientamento, perché non hanno ideali che non siano il proprio tornaconto e la propria ambizione.
Lo studio citato in precedenza (Jihadista della porta accanto. Radicalizzazione e attacchi jihadisti in Occidente) evidenzia soprattutto le mille e più sfaccettature del fenomeno della radicalizzazione.
Il rapporto di identità che un’informazione errata tende a creare tra figure diverse – immigrati, cittadini che si macchiano di terrorismo, lupi solitari, foreign fighters –, oltre ad essere fuorviante, crea terreno fertile per la radicalizzazione stessa: quell’odio già chiamato in causa genera crepe insanabili tra culture che, anziché comprendersi reciprocamente e cercare assieme la falla del sistema, si scagliano addosso l’una l’altra in nome di una millantata sicurezza – personale, identitaria, nazionale. Per ogni propaganda populista ben fatta, è possibile immaginare il terrorismo applaudire e ringraziare per la discordia seminata.
«Nèmesi a luce anche die’, cordoglio degli uomini tutti, la tetra Notte; e a luce poi diede I’Inganno, la Foia, la sciagurata Vecchiaia, la Contesa dal cuore animoso.»
da “Teogonia” di Esiodo, traduzione di Ettore Romagnoli
Rosa Ciglio