Non è facile scrivere una recensione sul film “IT”, figuriamoci trasporre sul grande schermo uno dei romanzi horror più popolari e seminali della seconda metà del novecento. Che poi collocarlo nel genere “horror” significa prendersi già una bella licenza, in quanto questa rigida classificazione rischia di essere limitante e riduttiva per l’opera stessa.
Questo perché IT di Stephen King è molto di più: è una denuncia sociale spaventosa, un racconto di formazione adolescenziale, un conato di rabbia e di rancore verso l’umanità corrotta, sia essa rappresentata da bulli violenti, genitori ingombranti o chiunque perpetri abusi di varia natura.
È quindi inevitabile che l’opera trascenda la singola categoria e si stagli nel maremagnum della letteratura dell’orrore come una grande storia. E non è la prima e non sarà l’ultima che verrà trapiantata da un medium all’altro. È il normale – e auspicato – corso delle produzioni artistiche. Perché sia chiaro, c’è da esserne felici. Veder prendere forme e colori a pagine nere e bianche, dando concretezza a ciò che soltanto ci siamo immaginati è quello che ogni fan di un romanzo sogna.
Ma proprio per la differenza di codici, tempi e messaggi, staremo alla larga dal raffrontare meticolosamente film e libro. Il primo, in qualche modo, mette dei paletti alla nostra immaginazione con simboli e figure visive da cui non si può prescindere. Ci ingabbia, forzatamente.
“È meglio il libro”. Sì, volete sentirvelo dire, fan di King. E ve lo diciamo. E in questo caso sarebbe futile sottolinearlo, come dire che una storia rende più in tv che su un videogioco, o viceversa. È cosi. IT è fatto ed è nato per stare su carta stampata, è un’esperienza consumabile in solitudine, nella penombra della propria cameretta che diventa più angusta e soffocante man mano che le pagine scorrono come la barchetta di Georgie nei primi tre capitoli. E le vostre paure, affiorano dagli angoli recessi della mente sotto forma di pagliaccio o chissà cos’altro, tra una riga e l’altra.
Per questo, nel corso della recensione, ci soffermeremo con più ragionevolezza su qualche raffronto tra la miniserie degli anni ‘90 e la prima trasposizione cinematografica di IT firmata Andy Muschietti, tralasciando per un attimo il romanzo.
Perdonerete la rigida schematizzazione ma è inevitabile per affrontare con una parvenza di serietà un film che si presta a tanti tipi di analisi:
- Prima di tutto, c’è da chiedersi : Il film di Muschietti fa paura?
Partiamo col dire che che in epoca di remake, reboot e sequel improbabili, è assurdo ci sia voluto così tanto per dare la prima (!) trasposizione al pagliaccio sul grande schermo. E in effetti nemmeno quelli della New Line Cinema sembravano crederci più di tanto, basti vedere il budget risicato e una scelta di attori non proprio di grandissimo spessore (molti sono estrapolati da produzioni televisive). E nonostante ciò, uno dei punti di forza del film, sta proprio negli effetti speciali, così vituperati nelle produzioni horror odierne (perché usate male o peggio) che qui invece ci lasciano spiazzati per suggestioni visive e orripilanti. Pensiamo alla scena sanguinolenta nel bagno di Beverly (interpretata da una infatuante Sophia Lillis): una scena spiazzante, da mattatoio, che rende benissimo la paura provata dalla nostra protagonista. Oppure alla prima, ormai iconica scena, di Georgie che viene divorato da Pennywise. Nella miniserie, la sorte del bambino non viene mai mostrata ma lasciata al sottinteso. Mentre nel film di Muschietti, la violenza viene mostrata in tutta la sua pornografia: vediamo staccare un braccio al povero Georgie dopo che il pagliaccio l’ha blandito fino a convincerlo a sporgersi verso lo scolo. Il povero ragazzino arranca sotto la pioggia che diventa un lago purpureo nei suoi pressi. Una scena forte, splatter, che i puristi magari non avranno apprezzato ma che di sicuro risulterà molto d’impatto perché si esaurisce ai danni di un tenero bambino. D’altro canto, queste scelte pulp stridono, forse volutamente, con tutto il mood del film, che definiremmo senza eufemismi iper-patinato. Fontane di sangue qua e là e, poi, tanto amore: basti pensare al minutaggio concesso al romance fra alcuni dei protagonisti. Quindi c’è da chiedersi se questo contrasto sia stato voluto o sia stato il classico accontentare tutti ma che, in fondo, non appaga nessuno. Soprattutto i più grandicelli, quelli che con il romanzo di King ci sono cresciuti. Si ha infatti la sensazione che il taglio del film fosse deliberatamente orientato verso un certo target di pubblico, alla Harry Potter o Stranger Things, per intenderci. Inspiegabilmente, allora, il film gode di un Rated R ai minori di 14 anni, affibbiandosi l’etichetta di “horror” più redditizio di sempre. Ma è davvero un horror? Non per l’immensità dell’opera in questo caso, come dicevamo prima, ma perché il film è di fatto un’avventura fantastica per ragazzi, con derive – e solo derive – horror, insaporito con jumpscare (riuscitissimi) buttati qua e là.
- Le differenza con la miniserie degli anni 90:
Le scelte del cast sono tutte azzeccatissime per quanto permanga una stereotipia nella caratterizzazione dei personaggi che risultano, oggi come nella miniserie, oltremodo monodimensionali. I nostri amati Perdenti, però, sono tutti in parte. Forse, solo l’attore di Bill poteva essere scelto meglio visto che nell’economia del film si sarebbe dovuto stagliare come leader e come personaggio fondamentale della storia (che ricordiamo, avrà il suo compimento con il secondo capitolo nel 2019). Qualcuno storcerà il naso anche per il cambio di storyline di Mike, nel romanzo quanto nella miniserie, memoria storica del gruppo dei Perdenti.
Anche nel come viene affrontato IT ci sono grandi differenze (ma siamo molto più vicini al romanzo) e, chi scrive, eviterà di dilungarsi per non rovinarvi tutte le sorprese. - Com’è questo Pennywise?
Sicuramente diverso da quello dell’iconico Tim Curry della miniserie. Quest’ultimo, anche per l’età, aveva un ascendente molto più paternalistico e pedofilo (sì, passatemi il termine) nell’avvicinare i ragazzi, molto più “get IT” nel senso sessuale del termine. Si poneva come un clown giocherellone, che blandisce i bambini con promesse di dolci e svariati divertimenti. Inizialmente Curry ha una faccia accomodante, adorabile, per quanto subdola, ma poi sul più bello si trasforma nel mostro. Un cambiamento di espressione e personalità repentino che spaventava proprio per la sua imprevedibilità. Sai che diventerà cattivo, ma non sai quando! Questo Pennywise, interpretato da Bill Skarsgård, invece, gioca molto meno sulla mimica facciale (i cambiamenti sono fatti quasi tutti in CGI) ma è molto più terrificante. Non ha niente che possa attirare un bambino (a parte forse nella scena iniziale con Georgie, dove si presente sinistro ma con una nota di tenerezza). Skarsgård è perennemente disturbante, già dai primi sguardi, e ciò va dato atto al grande lavoro di make-up e di post-produzione fatto sullo stesso attore. Cosa di cui magari non ha goduto Tim Curry, che deve gran parte del suo essere spaventoso alle sue immense capacità attoriali. L’IT di Tim Curry, insomma, è molto più pagliaccio/mutaforma, quello di Skarsgård è molto più entità maligna truccata da pagliaccio. A voi, le ovvie conclusioni.
In sintesi dovendo fare un raffronto complessivo, sintetizzando questi tre punti fra le due trasposizioni, potremmo dire che la miniserie è un prodotto dimenticabile che fa sentire tutti gli anni che ha: ingenua, didascalica e limitante. Dialoghi e regia mediocri nonostante degli ottimi attori (soprattutto fra gli adulti) utilizzati. Se ci avessero messo meno tempo a partorire una nuova trasposizione filmica, oggi non sarebbe così ben marchiata nell’immaginario di molti.
Andy Muschietti ci ha riprovato, in un formato e una tecnologia ben diversa rispetta a quella del suo predecessore, e il risultato è un adventure-horror che convince soprattutto i ragazzini. E lo fa con un suo stile, rispettando allo stesso tempo le atmosfere del romanzo. E poi tanti jumpscare, sussulti dalla sedia e un montaggio rapsodico che dovrebbe far perdere lo spettatore. Bello. Ma insomma, è questa la vera paura? L’angoscia, il senso di smarrimento, di terrore vero, dov’è? Ci si aspetta con secondo capitolo di IT una maturazione parallela a quella dei protagonisti, dove lì, i Perdenti, li ritroveremo cresciuti. Se ci riuscirà, potremmo parlare di un’opera riuscita e degna dell’idea di King.
Enrico Ciccarelli