Nel suo corso millenario, il rapporto della letteratura occidentale con la società ha attraversato innumerevoli fasi. Una delle più peculiari tra queste si ritrova tra i salotti borghesi della Francia ottocentesca. Nel secolo di affermazione del capitalismo, la letteratura fu inevitabilmente sensibile a un fenomeno umano di tale portata. Davanti a un totale stravolgimento del sistema sociale, lo scrittore perdeva la sua fisionomia. Il romanzo autoriale crollò inesorabilmente. Nel 1821, a Rouen, nacque Gustave Flaubert, l’icona più compiuta di questo fenomeno nella letteratura francese.
Prima di immergersi nello studio di questa figura, bisogna tener conto della sua “atipicità”. Egli infatti si differenziò notevolmente dal progressismo tipico dei romanzi di Zola e Balzac. Questi ultimi avevano conquistato la scena europea per la loro filosofia letteraria del romanziere scienziato: trattasi di uno scrittore in grado di analizzare con minuzia scientifica i fenomeni umani per fornire strategie di miglioramento sociale.
Probabilmente, però, i lettori dell’epoca non colsero i limiti dell’euforico positivismo scientifico di questi autori. Ecco perché oggi la forma più compiuta di romanziere scienziato è considerata quella di Flaubert. Egli fu l’unico in grado di investigare con estremo acume entrambe le facce della socetà borghese, con la sua totale impersonalità. Basti pensare che ancora oggi il suo giudizio riguardo a quest’ultima appare ambiguo e problematico.
“L’artista deve essere nella sua opera come Dio nella creazione, invisibile e onnipotente, sì che lo si senta ovunque ma non lo si veda mai”.
È proprio intorno a questa concezione che si articola la prosa di Flaubert. Quell’autore in grado di immergersi nella storia fino a dissolversi è presente in tutta la sua produzione. Ma solo in Madame Bovary, questo diventa completamente invisibile. Per ottenere questo effetto, Flaubert, nel suo capolavoro, si servirà della più efficace arma della sua prosa: il discorso indiretto libero. Eccone un esempio.
“Spesso, quando Charles non c’era, andava a prendere il portasigari di seta verde nell’armadio, tra le pieghe della biancheria dove l’aveva riposto. Lo guardava, lo apriva, annusava l’odore della fodera che sapeva di verbena e di tabacco (parole del narratore). A chi aveva appartenuto? Al visconte, certo. Forse un regalo della sua amante. Costei doveva averlo ricamato su di un telaio di palissandro, talmente minuscolo da potersi nascondere ad ogni occhio indiscreto; vi si era chinata sopra con i riccioli delicati, pensierosa, per molte ore.. ( parole di Emma, è lei che immagina la storia di questo portasigari)”.
In Madame Bovary, risaltano i distacchi grammaticali tra le parole dell’autore e i pensieri della protagonista. Quest’ultima, nella sua vita sregolata, diventa la proiezione di quella parte “romantica” della personalità di Flaubert. Egli, infatti, affermò chiaramente: “Madame Bovary c’est moi…” Questa frase scandalosa fu al centro del processo per oltraggio alla morale nel quale Flaubert fu coinvolto. Eppure, il celebre scrittore fu assolto. Perché?
Emma, la protagonista, rappresenta un personaggio ben più complesso dello stereotipo romantico. Le sue mille aspirazioni passionali si infrangono dinanzi alla società, uniformandosi con quella “stupidità” borghese della quale ella stessa è vittima. Il giudizio di Flaubert su quest’ultima, in realtà, non è mai chiaro, e non si riduce alla banale compassione. Il modo di porsi di Flaubert dinanzi alla socetà presenta esattamente le due facce di quel mondo che l’autore intendeva rappresentare: quella razionale e materialistica, e quella della perdita degli ideali romantici.
In realtà, il discorso indiretto libero fu utillizzato anche da Zola nell'”Assomoir”, ma solo in Flaubert raggiunse la sua forma più compiuta. Ciò avvenne attraverso alcune sottili strategie di estrema “finesse” letteraria. Tra queste il ruolo fondamentale è occupato dalla “parola giusta”. Nessun termine è inserito casualmente nel romanzo, ognuno ha una sua precisa collocazione e un suo significato atto a scuotere il lettore, a farlo riflettere proprio sulle varie sfaccettature dei “blocchi di realismo” riportati da Flaubert.
È qui che bisogna cogliere il valore del “libro su niente, che si regge soltanto in virtù dello stile”. Proprio così egli definiva il suo romanzo, con un significato che va ancora oltre il contesto storico ove è collocato. Proprio al romanzo di Flaubert si deve la diffusione del termine “bovarismo”, anch’esso ambiguo nel significato. Si tratta di un comportamento molto vicino anche all’età contemporanea. Spesso gli uomini, dinanzi alla ferrea realtà economico-sociale odierna, tendono a crearsi un mondo parallelo, di sogni, di immaginazione. Ma spesso anche questo finisce per degenerare, infrangendosi nella durezza del materialismo.
Corrado Imbriani