Quando si discute di oblio si fa riferimento ad una sorta di amnesia, più o meno duratura, assimilabile ad uno stordimento autoimposto, che si usa per provocare una dimenticanza su ciò che è stato. Il diritto all’oblio dei nostri tempi ha qualcosa a che vedere con ciò di cui parlava già Omero?
Nella mitologia greca, infatti, questo stato di abbandono era stato descritto da Omero nell’Odissea: il poeta faceva mangiare ai compagni di Ulisse il fiore di loto, causa appunto di oblio, e cioè della perdita di memoria con riguardo alle famiglie che li stavano aspettando sull’isola di Itaca.
Il diritto all’oblio applicato alla moderna tecnologia ha in realtà ben poco in comune con le storie degli antichi rapsodi, perché si tratta di una forma di garanzia che prevede il divieto di diffondere all’esterno dati pregiudizievoli per la reputazione di una persona, contenuti – ma non solo – sul web.
Come nasce il diritto all’oblio?
Dalla prima importante pronuncia della Corte di Giustizia UE nei confronti di Google[1] – che permetteva agli interessati di richiedere, a determinate condizioni, la cancellazione dei propri dati dal motore di ricerca più utilizzato al mondo – molta acqua è passata sotto i ponti, sino ad arrivare al Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali[2] – in vigore dal maggio del 2018 – che cristallizza a livello comunitario il diritto a chiedere l’eliminazione di notizie riguardanti fatti avvenuti in passato, al fine di tutelare la riservatezza e l’identità personale di un soggetto.
Attenzione, però, perché non tutti i dati, e non tutte le notizie, sono uguali.
Se, infatti, è da considerarsi legittimo che un giovane che si sta affacciando nel mondo del lavoro voglia eliminare da internet le foto che lo ritraggono, alticcio, alla festa del liceo, non si può dire lo stesso per le notizie che riguardano i precedenti penali di un candidato alla presidenza di un’associazione contro la criminalità organizzata.
Come può applicarsi il diritto all’oblio?
Seguendo gli esempi proposti, nel primo caso, il ragazzo che desideri cancellare dalla memoria del web le tracce dei suoi eccessi di gioventù ha il diritto di chiedere, ed ottenere, senza ingiustificato ritardo, la cancellazione dei dati personali che lo riguardano.
Il secondo caso è più complicato, perché entrano in gioco valori ed esigenze più importanti, primo fra tutti l’esercizio della libertà di informazione per motivi di interesse pubblico, da considerarsi – a determinate condizioni – più importante di qualsiasi interesse privato alla segretezza.
In altre parole, quello che la legge impone è un non sempre agevole bilanciamento fra diritti, il diritto di cronaca del giornalista ed il diritto all’oblio di colui il quale desideri far rimuovere dal web contenuti potenzialmente idonei a comprometterne la reputazione.
A ben vedere, si tratta diritti molto simili, se non complementari, fra loro, tanto che si può dire che la libertà d’azione dell’uno finisce inevitabilmente laddove inizia quella dell’altro.
Come si concilia il diritto all’oblio con il diritto di cronaca?
Il lavoro del giornalista è oggi radicalmente mutato rispetto al passato, quando il reperimento della notizia era molto più complicato di oggi – in cui molto spesso, per scrivere un articolo, è sufficiente rimodulare ciò che si trova in giro per la rete, senza neanche poter fare le opportune verifiche.
E dire che il Testo unico dei doveri del giornalista[3], entrato in vigore nel febbraio del 2016, impone doveri molto precisi ai professionisti dell’informazione, come quello contenuto nell’articolo 3, che stabilisce che tutti i giornalisti devono evitare di fare riferimento ai particolari del passato, a meno che essi non risultino essenziali per la completezza dell’informazione resa.
Gli strumenti affinché chi per mestiere racconta fatti possa continuare a farlo senza ledere i diritti altrui dunque ci sono, ed anzi garantiscono il diritto all’informazione che appartiene alla generalità dei consociati.
Per altri aspetti, tuttavia, i veri detentori del diritto all’oblio sono le persone cosiddette “normali”, come il giovane di cui parlavamo prima, che non vuole che i potenziali datori di lavoro possano curiosare nel suo passato.
Ma non solo: pensiamo anche a coloro i quali subiscono furti di dati dai propri supporti informatici, le cui foto o video vengono messi alla pubblica gogna del web, alla mercé di aguzzini che, nascondendosi nell’anonimato, si divertono a umiliare il malcapitato o la malcapitata di turno.
È principalmente per loro che esiste il diritto all’oblio, ed è anche per questo che dovremmo essere tutti molto soddisfatti per questa recente conquista giuridica.
Carlo Rombolà
[1] http://curia.europa.eu/juris/document/document_print.jsf?doclang=EN&text&pageIndex=0&part=1&mode=DOC&docid=152065&occ=first&dir&cid=437838
[2] Regolamento UE 2016/679: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32016R0679
[3] http://www.odg.it/content/testo-unico-dei-doveri-del-giornalista