Tra i tratti distintivi del popolo partenopeo spicca il dialetto napoletano: colorito, incisivo, mai scialbo e carico sempre di significato. Tutti adoperano il dialetto nelle occasioni più svariate, specie in quelle informali: e in particolare i più anziani, i “napoletani veraci”, tendono a dire la propria in ogni circostanza piazzandoci sempre uno dei proverbi o dei modi di dire del dialetto.
I modi di dire e i proverbi del dialetto napoletano vantano una storia lunga secoli: alcuni nascono in occasioni specifiche, altri sono semplicemente una messa in pratica del napoletano; in altri casi ancora, si tratta di frasi che prendono spunto dalla quotidianità antica. Il fatto è chiaro a tutti: i modi di dire hanno arricchito la tradizione folkloristica dei partenopei e spesso sono accompagnati da pose e gesti che rendono il tutto più artefatto.
Uno dei proverbi più diffusi è quello che viene pronunciato dai napoletano in prossimità di metà dicembre:
“A Santa Lucia nu passe ‘e gallina, a Sant’Aniello nu passe ‘e pecuriello”
Si tratta di uno dei numerosi modi di dire che prendono spunto dalla tradizione religiosa relativa ai due santi in questione, Santa Lucia e Sant’Aniello, la cui santità ricade rispettivamente il 13 e il 14 dicembre. Dal punto di vista scientifico, il 13 dicembre è il giorno più corto dell’anno: le ore di buio sono nettamente superiori a quelle di luce, motivo per cui il passo tra la luce e il buio viene paragonato a quello breve di una gallina. Sempre dal punto di vista scientifico, il 14 dicembre è la data in cui cominciano ad allungarsi le giornate e a cominciano a diminuire le ore buie a favore delle ore di luce: ecco perché si parla di passo di “pecuriello”, cioè di un agnellino che ha sicuramente un passo più lungo di quello di una gallina.
C’è un altro famosissimo proverbio che risulta incomprensibile a chi non mastica il dialetto napoletano:
” Avimmo perduto a Filippo e ‘o panaro”
Si tratta di uno dei modi di dire più usati e più diffusi che può essere adoperato in situazioni in cui risulta difficile scegliere tra due cose e alla fin fine la titubanza della propria scelta porterà soltanto alla perdita di ambo le cose. Questo proverbio della tradizione del napoletano trae le sue origini dall’arte: Antonio Petito, autore di una farsa pulcinellesca, racconta del nobile Pancrazio che aveva affidato al proprio servo Filippo una cesta piena di cibo da consegnare al altri. Filippo, invece di consegnare la cesta ai destinatari, fugge e di conseguenza il suo padrone resta senza servo e senza cesta, ovvero senza “panaro”.
Tra i proverbi relativi al folklore del dialetto napoletano ne spicca un altro davvero simpatico:
“Scarte frùscio e piglie primera!”
“Fruscio” e “primera” sono due termini relativi ad un gioco tipicamente napoletano che prevede due giocatori che con un mazzo di 40 carte tentano di raggiungere un alto punteggio complessivo. Nel XV secolo, i giocatori d’azzardo tendevano ad accumulare tutte le carte utili a “fare la primiera” che aveva un punteggio elevato; ma quando le carte non erano favorevoli si faceva di tutto per accumulare quelle che davano diritto al “fruscio”. Solitamente, si rischiava tutto pur di accumulare dei punti e di fatto i giocatori restavano senza punteggio. Ecco perché tra i modi di dire spicca quello indicato precedentemente quando si vuole indicare qualcuno che da sprovveduto ha rischiato il certo per l’incerto, senza aver ottenuto alcun risultato.
Uno dei modi di dire più usati di frequente è:
“Pur ‘e pullece tenene a tosse”
Si tratta di uno dei proverbi più antichi che i grandi usavano quando i bambini erano soliti intromettersi in argomenti che non riguardavano loro. Ecco allora che la pulce diventa un’allegoria: se questa espressione invece si riferisce a un adulto, allora si intende che colui che parla di un dato argomento in realtà non è padrone di ciò che sta affermando.
Di radici storiche è il proverbio:
“Adda venì Baffone”
Si tratta di uno di quei modi di dire che entrarono a far parte del dialetto napoletano a ridosso della fine della seconda guerra mondiale. Ma napoletani e forestieri si chiedono: chi è “Baffone”? Il famoso baffone è Stalin, il dittatore sovietico noto anche per i suoi baffi lunghi. All’epoca, il popolo partenopeo auspicava che Stalin arrivasse a portare pace, serenità e tranquillità che oramai mancavano da tempo.
Alla lista dei proverbi e modi di dire se ne aggiunge un ultimo:
“Chi chiagne fott a chi rire”
Semplicemente, questa espressione si usa quando si osserva il comportamento di chi è solito lamentarsi ma in realtà vive meglio di tutti quelli che combattono la battaglia della vita in silenzio. Ma prima o poi la verità viene a galla: d’altronde, a Napoli hanno tutti e “recchie e pulicano” e “l’uocchie sicc so pegg re scuppettate”.
Arianna Spezzaferro