Arabia Saudita-stop armi: si può fermare così la guerra nello Yemen?
Arabia Saudita-stop armi: si può fermare così la guerra nello Yemen?

Quando il 20 giugno il tribunale di Londra ha riconosciuto illegali i trasferimenti di armi all’Arabia Saudita, Amensty international ha assistito al raggiungimento di un piccolo traguardo perché da anni si spende per interrompere la vendita di armi verso il Paese: «Per la prima volta un organo di giustizia del Regno Unito ha riconosciuto che proseguire i trasferimenti di forniture militari all’Arabia Saudita è un rischio per lo Yemen. Apprezziamo questa sentenza, un passo avanti importante per impedire ulteriori bagni di sangue», ha dichiarato Lucy Claridge, direttrice del programma Contenziosi strategici di Amnesty International.

Settimane di sollievo, potrebbe dirsi, dato che anche in Italia è stata discussa la mozione per chiedere la sospensione di esportazioni di bombe d’aereo e missili verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.

Se i morti non si vedono la guerra non esiste

L’Arabia Saudita è impegnata dal 2015 a fermare l’avanzata degli huthi nella guerra civile dello Yemen. Da un lato la fazione sostenuta da Stati Uniti e Regno Unito, dall’altra la fazione appoggiata dall’Iran.

Yemen
Credits: ABDO 

A oggi si contano più di 19.000 bombardamenti, un numero che lascia immaginare quanto siano i civili a subire le conseguenze di una guerra che gioca la sua partita in un territorio già povero e arretrato. Sono state bombardate scuole, distrutti ospedali, colpite basi di volontari. L’emergenza umanitaria in corso nello Yemen è sotto gli occhi di tutti: si muore di fame e di colera, e la vendita di armi non fa che rimandare la fine del gioco della guerra e dilatare le ferite di un Paese distrutto.

L’economia della morte

Gli Stati Uniti, che vantano rapporti duraturi con l’Arabia Saudita avendo già nel 1945 barattato sicurezza con petrolio, sono i primi venditori di armi dello Stato arabo, seguono gli Stati europei: Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Spagna. È ciò che emerge nel rapporto Trends in international arms transfers del 2018.

Una vendita dettata dalle leggi di mercato. Nel 2016 la Francia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi, l’Italia conta un export di quasi 500 milioni.

Dopo l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi il Parlamento europeo ha chiesto ai Paesi membri di imporre un embargo comune sulla vendita di armi verso l’Arabia Saudita considerato il coinvolgimento nel conflitto dello Yemen.

Paesi come Finlandia, Danimarca, Norvegia, Grecia hanno adottato provvedimenti per sospendere o limitare la vendita di armi. Lo ha fatto anche la Germania di Angela Merkel dichiarando di fermare la vendita di armi all’Arabia Saudita fino a quando non saranno chiarite le dinamiche e invitando gli altri Capi di Stato a seguire l’esempio.

Di fatto però le filiali estere tedesche hanno proseguito regolarmente i propri commerci. È il caso della RWM Italia Spa, società del gruppo Rheinmetall Defence. Doppia ipocrisia, come suggerisce il titolo dell’inchiesta che ha vinto l’edizione 2018 del Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo e che parla proprio dell’intreccio internazionale nella vendita di armi all’Arabia Saudita.

Molti ordigni ritrovati in Yemen, sganciati dall’Arabia Saudita, riportano il codice A4447, numero identificativo delle bombe italiane.

Stop Armi Arabia Saudita
Un momento della manifestazione davanti l’ambasciata dell’Arabia Saudita contro l’esportazione di bombe fuorilegge verso l’Arabia Saudita, Roma, 19 settembre 2018. ANSA/ANGELO CARCONI

Nella scacchiera del conflitto di cui nessuno parla, e di cui poco si sente, sono stati numerosi e continui gli appelli avanzati dalle ONG verso l’Italia in questi anni per sospendere ogni tipo di armamento verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Di fatto è stata elusa la legge 185 del 1990 che disciplina le importazioni e le esportazioni di armi nei Paesi coinvolti in conflitti armati, sono state violate leggi internazionali, sono rimaste inascoltate le leggi morali.

Non sempre e non ovunque. Nota curiosa.

Anni fa un pompiere basco si rifiutò di prestare servizio a un’operazione di consegna di un carico di esplosivi nel porto di Bilbao verso l’Arabia Saudita per cui si aprì un procedimento disciplinare. Il vigile del fuoco, definito il vigile obiettore, non voleva essere corresponsabile dei crimini nello Yemen. Le grandi battaglie vanno avanti così, a piccoli passi.

Mozione armi Arabia Saudita: 262 voti favorevoli, 214 astensioni, nessun contrario

L’approvazione della mozione avanzata da M5S e Lega sulla sospensione della vendita di armi verso l’Arabia Saudita, in particolare bombe d’aereo e dei missili, e votata alla Camera lo scorso 26 giugno, pur rappresentando una tappa importante, riserva esitazione.

Sono state respinte le mozioni presentate da Liberi e Uguali, PD, Fratelli d’Italia e Forza Italia che giudicano la proposta lacunosa essendo il divieto circoscritto a bombe d’aereo e missili. Chiedevano insomma posizioni ancora più drastiche da parte dello Stato affinché venissero interrotti i commerci di tutte le armi e si discutesse di una riconversione produttiva industriale.

Passi comunque decisivi che evidenziano quanto qualcosa si sia già mosso.

È stata definita guerra invisibile, silenziosa, dimenticata. La guerra nello Yemen è guerra. E bisogna che se ne parli, per capire le dinamiche, per prendere coscienza, per monitorare.

La sospensione della vendita di armi verso l’Arabia Saudita votata alla Camera non è la soluzione al conflitto yemenita, ma dice molto su quanto oggi dovrebbe essere preteso dallo Stato: il riconoscimento del proprio dovere politico, civile e morale.

Alba Dalù

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