Simone Inzaghi e Ciro Immobile, sono loro i due protagonisti indiscussi dell’inizio di stagione spumeggiante della Lazio. Un binomio perfetto che nelle prime 11 giornate ha generato 28 punti che valgono il momentaneo terzo posto in classifica, un numero di gol inferiore solo a Napoli e Juventus e la piena consapevolezza di potersela giocare senza alcun dubbio con quelle che da sempre vengono considerate le “grandi” del Campionato. Tra di loro oggi rientra anche la Lazio, una squadra che rappresenta una delle maggiori sorprese di questa stagione e che nel mese di agosto non veniva nemmeno menzionata tra le papabili contendenti per la qualificazione alla prossima Champions League. Lo aveva detto Immobile, rivolgendosi ad opinionisti e giornalisti: <<potete continuare a parlare delle quattro big, poi noi piano piano, a piccoli passi, ci arriveremo>>. Una esternazione nella quale si riflette la convinzione di un intero gruppo, gestito alla perfezione da un allenatore che, nel valorizzare singolarmente i calciatori in campo, esalta la collettività, senza dare meriti particolari ad uno o all’altro.
È anche e, forse, soprattutto questo il merito di Simone Inzaghi, lui che sulla panchina della Lazio ci era finito per puro caso, quando, in seguito all’esonero di Stefano Pioli, Lotito gli affidò la panchina fino al termine della stagione 2015-2016. Panchina che poi sarebbe stata inaspettatamente riconfermata all’inizio della stagione successiva (2016-2017) a causa del clamoroso caso di Marcelo Bielsa, che all’ultimo momento decise di rifiutare l’incarico di allenatore della Lazio a causa di divergenze sul mercato. Ebbene, quello che doveva essere solo un incarico temporaneo si è rivelato la migliore scelta che la Società biancoceleste potesse effettuare. Oggi la Lazio non è più quella squadra sbandata e priva di sé che lo stesso Inzaghi aveva trovato al suo arrivo. È un gruppo unito nel quale alcune personalità sono in grado di esaltarsi all’ennesima potenza, grazie al sistema di gioco adottato dal tecnico e alla carica da lui trasmessa.
Tra i giocatori rigenerati dalla cura Inzaghi c’è indubbiamente Ciro Immobile, che mai aveva iniziato una stagione come quella di quest’anno: 14 marcature in appena 11 match, una media pazzesca a cui l’attaccante di Torre Annunziata sembra non voler rinunciare. L’azzurro sembra finalmente aver raggiunto quella maturità e quella convinzione che gli era mancata nelle passate stagioni, ed è riuscito a trasformarsi nel leader offensivo sul quale l’intero gruppo sa di poter fare affidamento. Spietato, cinico, carismatico, capace di fare la differenza anche contro le grandi. Era il centravanti che da troppo tempo mancava a Formello.
Ma quali sono i veri segreti dell’armata biancoceleste?
A parte la già citata capacità di Inzaghi di formare un gruppo di persone umili, consapevoli della propria forza e che si sacrificano per 95 minuti senza mollare un centimetro, l’altro elemento chiave è rappresentato dallo schema di gioco e dal conseguente posizionamento in campo dei giocatori. Nel corso della passata stagione il tecnico biancoceleste aveva cambiato spesso: dal 4-3-3 ereditato da Pioli, che esaltava ali offensive come Felipe Anderson, si era passati al 4-4-2 adottato in occasione di partite che richiedevano una maggiore attenzione difensiva, fino al 3-5-2, modulo perfetto per un tipo di gioco che parte e si sviluppa a centrocampo attraverso verticalizzazioni in grado di premiare il lavoro degli esterni o degli attaccanti del tipo di Immobile e del mai rimpianto Keita, entrambi dotati di una grande capacità di attaccare gli spazi. Dopodiché, vista anche la partenza del senegalese nel mercato estivo, a quest’ultimo schema l’ex centravanti della Lazio ha apportato una piccola modifica, rivelatasi, però, determinante: l’arretramento di uno dei due attaccanti. Oggi l’attuale modulo è, infatti, un 3-5-1-1 caratterizzato dalla peculiare posizione di Luis Alberto, che agisce come seconda punta/trequartista e si muove alle spalle di Immobile. Grazie al suo continuo abbassamento sulla linea dei centrocampisti, lo spagnolo riceve tantissimi palloni e spesso mette l’attaccante della Nazionale in condizione di segnare. Sono, infatti, già tanti gli assist sfornati dal talento ex Liverpool, altra scoperta di Inzaghi che ha saputo farlo crescere ed ha atteso il momento giusto per lanciarlo dopo una stagione vissuta nell’ombra. A dirla tutta, il 3-5-1-1 spesso si trasforma in un 3-4-2-1, grazie all’avanzamento di un’altra pedina fondamentale della squadra: Milinkovic-Savic, un lavoratore del centrocampo dotato nel contempo di un buon palleggio che può all’occorrenza essere utilizzato, per l’appunto, a supporto dell’unico centravanti, sfruttando in tal modo anche la sua abilità di inserimento che lo dota di una buona vena realizzativa.
Ai meccanismi perfetti del centrocampo, governato dal sottovalutato Lucas Leiva (che non sta per nulla facendo rimpiangere l’altro Lucas, regista della nazionale argentina) e rinvigorito dalla instancabilità di Marco Parolo, si aggiunge una solidità difensiva sulla quale in pochi avrebbero scommesso. La difesa a 3 composta da De Vrij, Bastos e Radu offre buone garanzie, grazie anche all’apporto, in fase di non possesso, dei due laterali, corrispondenti al capitano Lulic (che può essere impiegato praticamente ovunque) e alla sorpresa Marusic, terzino fluidificante temporaneo sostituto di Basta, ma che, in realtà, viste le grandi prestazioni e la capacità realizzativa, difficilmente lascerà di nuovo il posto al terzino serbo. In porta Strakosha, diventato un eroe dopo il doppio rigore parato a Dybala in Supercoppa e in Campionato, sta dimostrando, con la sua affidabilità, di meritare il posto da titolare a danno di Federico Marchetti.
La Lazio di quest’anno è il risultato di due anni di gestione Inzaghi. È servito tempo, ma per tifosi e giocatori ne sarà valsa la pena. È un gruppo forte guidato da due personalità forti: Inzaghi e Immobile. Chiamiamolo il fattore “I”. Resterà da vedere se gli Aquilotti saranno in grado di mantenere l’eccezionale ritmo mostrato in queste prime battute del torneo e, quindi, di giocarsi un posto per la prossima Coppa dei Campioni. Magari spuntandola sugli odiati cugini romanisti, dopo che per anni hanno vissuto nella loro ombra. Ora il fattore I è pronto a riprendersi la Capitale.
Amedeo Polichetti