Napoli, Anno del Signore 2018. Sorge l’alba quasi sgomenta, attonita, avvinghiata al freddo pungente di invisibili aghi di brina, e si scuote di dosso nuvole e occhiaie, gli ultimi scampoli di sogno in coda ai monti, lungo gli scogli, nelle ombre anguste dei vicoli.
Il mattino a Napoli è il levarsi repentino di cori e voci insieme all’odore del caffè; l’inarrestato crepitio di traffico, caos, treni in ritardo; il sotterfugio complice, la mano mendicante, il sorriso a metà ed il cuore traboccante di amore o di odio o di disperazione.
Millenni di stereotipi, cartoline ormai sbiadite che invecchiano con le facciate sporche dei palazzi in un reciproco sguardo di indifferente contemplazione. Le strade si dipanano tra i totem e i tabù, i delitti ed i castighi, e sembra possano andare avanti per sempre, in quella stessa direzione di una caducità perpetua pronta a sgretolarsi al primo soffio di realtà.
Napoli è tutto e il contrario di tutto: una promessa infranta, una magia distratta, un sentimento non corrisposto.
Ma la redenzione non arriva mai, e la fede prima o poi va smarrendosi tra gli anfratti della delusione. Può capitare persino a San Gennaro qualche volta, figuriamoci a noi comuni mortali, che il sangue ce l’abbiamo sempre sciolto.
E adesso che il gelido inverno sferza gli albori di un nuovo anno, puntuali tornano gli spettri. Sono fantasmi con le fattezze della polemica, dell’accusa, del litigio. Hanno gli stessi occhi maligni che tanto spesso ne hanno divorato l’anima, precluso ogni opportunità e compiaciuto chi in quella perversa baraonda traeva la sua soddisfazione.
Nulla di nuovo sotto il sole, questo sole debole e lontano oggi più che mai dalle poetiche fantasie di un idealismo. A Napoli si continua a morire, di miseria e di camorra, di freddo e di rassegnazione. Quella che alberga negli animi più puri, finché la pece scura della corruzione non se ne impossessa e ne rode e ne sfilaccia ogni fibra.
Ebbene: lo sappiamo. Pazzesco, vero? Sappiamo che i problemi sono enormi ed affrontarli richiederà una vita intera, forse oltre il concetto stesso di esistenza, prima e dopo la morte. Sappiamo che non c’è nulla che vada esattamente come dovrebbe, perché sperimentiamo la suggestione quotidiana del vivere quest’avarizia di speranze, e ci aggrappiamo ad ogni piccolezza per fare salva almeno la nostra dignità.
Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, suggeriva Bertolt Brecht; sventurati noi ad averne bisogno e a sceglierci sempre quelli sbagliati. Ma chi accusa e punta il dito non ha più lungimiranza di chi si copre gli occhi e finge che tutto vada bene.
Questo, semplicemente, penso: che negli ultimi anni Napoli sia cambiata eccome, e chi lo nega, minimizza o sminuisce mostra memoria poco solida o un livore poco ragionato; tuttavia, c’è un così grande cambiamento da attuare ancora che né i sindaci, né improvvisati capipopolo che hanno fatto fortuna sulle disgrazie e su queste hanno costruito un facile consenso potranno mai incidere abbastanza.
Sarà la gente di Napoli a decidere il destino di Napoli: nessun altro.
Non è di moralismi né di protagonismi che questo popolo ha bisogno, ma di buone pratiche, di cultura della legalità, di istruzione. Non sono importanti i personaggi, ma le persone: quelle che affrontano una battaglia quotidiana contro i soprusi e le inefficienze.
Saviano dovrebbe saperlo bene: i tre africani che si sono rifiutati di pagare il pizzo, e sono stati per questo bersaglio di spari, hanno fatto per questa città molto più di quanto abbia mai fatto lui con i suoi libri e i suoi sermoni da messia autoproclamato. Allo stesso modo, De Magistris dovrebbe dedicare più energie all’amministrazione che ai battibecchi virtuali: governare Napoli non è un mestiere che lascia spazio alle parole (come queste), ma solo e soltanto ai fatti.
E poi chi ha ragione non ha bisogno di urlare. E in mezzo a tutti questi inutili strepiti, alle classiche e stucchevoli tifoserie da social, ai perbenisti dell’ultimo minuto, resta il silenzio di una Napoli rediviva ma incerta, ancora assopita nel trascorrere sterile del tempo senza una precisa idea di futuro.
Ma non c’è ulteriore attesa da giustificare, perché non si diventi una continua pretesa di litigio e non si esaurisca negli insulti il nostro impegno. Scetammece ‘a ‘stu suonno, ora!
Emanuele Tanzilli
Sventurati noi ad averne bisogno…..