La Web Tax è l’ultima trovata del governo giallo-verde per aumentare gli introiti e rendere meno pesante il deficit previsto dalla manovra finanziaria. Proprio nel corso del mese appena trascorso, UE e Governo Conte hanno raggiunto l’intesa facendo scendere il deficit della manovra da un 2,4% iniziale a un 2,04% finale. Questo abbassamento ha fatto scattare subito la ricerca di nuove possibilità per aumentare le entrate e quelle che erano solamente ipotesi a inizio legislatura stanno divenendo dure verità. 

Chi colpisce la Web Tax?

La Web Tax colpisce indiscriminatamente sia aziende italiane con sede legale in Italia sia aziende straniere che operino nel mercato italiano. Obiettivo principale della legge sono ovviamente le grandi multinazionali, in modo particolare i “GAFA” (Google, Amazon, Facebook, Alibaba): tutte le aziende che offrono servizi sul web (dall’e-commerce alle pubblicità) che hanno un ricavo complessivo non inferiore ai 750 milioni e un ricavo derivante da servizi effettuati in Italia non inferiore a 5,5 milioni dovranno pagare un’aliquota pari al 3%.

L’aliquota è sui ricavi e dovrà essere versata entro il mese successivo a ciascun trimestre e alla presentazione della dichiarazione annuale dell’ammontare dei servizi tassabili prestati entro quattro mesi dalla chiusura del periodo”

Il Governo prevede un’entrata complessiva di 600 milioni nel 2020 e altrettanti nel 2021 (cifre significative soprattutto per la riduzione del deficit).

La Web Tax francese

Ma l’Italia non è il primo Stato dove si è pensato alla Web Tax e non sarà neanche il primo dove entrerà in vigore. Il primato spetta infatti ai francesi che dal 1° gennaio 2019 tassano le grandi multinazionali operanti sul territorio francese: l’aliquota è sempre del 3% e le società tassabili sono quelle con un ricavo attorno ai 750 milioni di euro. I transalpini stimano un introito di circa 500 milioni di euro solamente nel 2019. Non è un caso però che le caratteristiche della legge italiana e di quella francese siano così simili anche nei ricavi.

Un’idea nata in Europa

Inizialmente il progetto di una Web Tax che colpisse le grandi multinazionali operanti in Europa era una prerogativa dell’Unione (col sogno poi di estenderla a tutti i Paesi della cooperazione per lo sviluppo OCSE), ma questa iniziativa, non ancora dichiarata conclusa, si è rivelata un totale fallimento per diversi motivi. 

Anzitutto la tassa europea non ha trovato concordi tutti i 28 Stati dell’Unione: la legge dopo mesi e mesi di discussione sembra essersi arrestata il 4 dicembre durante l’ECOFIN (Consiglio Economia e Finanza), che non ha visto unito il fronte degli Stati membri, anzi, i dissidi hanno portato alla quasi totale caduta dell’ambizioso progetto.

Italia, Francia e Germania sono unite e considerano la Web Tax un’innovazione importante per tassare le grandi multinazionali digitali in Europa. Contrarie e preoccupate sono Irlanda, Lussemburgo, Svezia, Estonia e Repubblica Ceca, le quali temono una reazione forte da parte degli Stati Uniti e un inasprimento generale sulla questione dei dazi import-export. Inoltre hanno proposto come alternativa (nei tempi più lunga e complicata) una Global Web Tax che riguardasse in generale gli Stati di tutti i continenti.

L’Irlanda in modo particolare teme ripercussioni negative da parte delle multinazionali a stelle e strisce dato che aziende come Google e Facebook hanno scelto la capitale Dublino come sede europea dei loro affari. La scelta di queste grandi aziende è stata dovuta proprio al fatto che in Irlanda la pressione fiscale sia minima. Dunque, aderendo alla Web Tax europea, l’Irlanda avrebbe finito per danneggiare quelle stesse multinazionali che l’hanno scelta come polo degli affari europei.

Le osservazioni sulla reazione USA apportate dagli Stati contrari sono tutt’altro che esagerate, dato il clima che si respira nel mondo e data la politica degli USA, con Donald Trump più aggressivo che mai sul mercato internazionale. Ma è altrettanto vero che una tassa sui giganti del web aiuterebbe a rendere giustizia ai negozi fisici che non solo hanno sempre meno clienti ma che in più sono costretti a pagare maggiori importi in termini di tasse.

La Web Tax in Italia

La tassa in oggetto rientra nella rivoluzionaria e popolare manovra del governo, manovra che rischia di aggravare la pressione fiscale sui portafogli degli italiani e di creare scontenti soprattutto nel biennio 2020-2021. Tuttavia, nel caso della Web Tax la prospettiva è un’altra.

Il punto centrale è difatti che, al di là della pressione fiscale che potrebbe crescere e delle reazioni di altri Stati, la nuova tassa andrebbe a colpire le grandi multinazionali del web che in media sono più remunerative delle aziende fisiche ma pagano meno tasse degli stessi. Questa novità – sebbene in via ipotetica potrebbe far crescere i prezzi dei servizi online e dei prodotti in generale – andrebbe quantomeno a rendere giustizia ai negozi fisici che ogni giorno subiscono una grossa pressione fiscale da cui i giganti del web sono esenti.

Nell’attesa di scoprire quali saranno le conseguenze della Web Tax, è quindi lecito auspicare che questa tassa possa iutare i negozi fisici nella concorrenza con le floride aziende del web.

Simone Martuscelli

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui