Dall’America negli ultimi mesi non sono arrivate buone notizie: l’abbandono degli accordi di Parigi e le dichiarazioni del Presidente Trump hanno seriamente preoccupato la comunità internazionale . Uno studio dell’ Università di Stanford, però, fa ben sperare: entro il 2050 ben 139 nazioni potranno sostenersi totalmente con fonti rinnovabili.

Sembrerebbe che gli Accordi di Parigi, entrati in vigore quest’anno, abbiano proposto degli obbiettivi facilmente raggiungibili stando alla ricerca compiuta dall’Università di Stanford: un’autonomia energetica del 100% attraverso fonti rinnovabili e il totale abbandono di fonti energetiche inquinanti e/o dannose potrebbe essere il futuro per 139 nazioni tra cui la stessa Italia. Lo studio, che rappresenta una specie di mappa con le varie tappe da seguire per raggiungere il risultato, è un’ottima notizia per il pianeta dopo un inizio di 2017 terribile: l’uscita degli USA dagli Accordi di Parigi, sui quali si attende un dietrofront della Presidenza americana, l’abbandono del G7 sull’ambiente e le proteste di Cina e Canada e le temperature che anche quest’anno confermano i record dell’ultimo quinquennio.

I ricercatori di Stanford hanno dimostrato che entro il 2050 (stesso limite proposto dagli Accordi di Parigi) energie green e fonti rinnovabili, sole, vento e acqua, potranno soddisfare totalmente il fabbisogno energetico di buona parte del pianeta con effetti a cascata in numerosi ambiti: dalla salute pubblica, alla salvaguardia ambientale fino all’aumento di posti di lavoro. Ovviamente dover riconvertire gli impianti in seguito alla rinuncia ai combustibili fossili comporterà una spesa notevole: saranno quindi necessari piani d’investimento dettagliati e un’ottima organizzazione della transizione industriale: il lavoro degli studiosi, coordinati dal professore Mark Z. Jacobson, potrebbe essere di grande aiuto in questo senso.

Il Programma Atmosfera ed Energia dell’Università e il Solution Project, organismo che ha supportato lo studio, sono sicuri che tutti i 139 paesi dispongono delle risorse necessarie per sostenersi attraverso le energie rinnovabili. In alcuni – ma rari casi di Stati di ridotte dimensioni ma con popolazione elevata e fabbisogno energetico sostenuto – hanno previsto delle importazioni energetiche dai paesi limitrofi. Dallo studio è stata esclusa l’energia nucleare e quella proveniente da carburanti puliti per due motivazioni differenti: la prima a causa dei costi e rischi elevati, la seconda perché nonostante la definizioni di puliti questi idrocarburi sono causa di inquinamento atmosferico e danni alla salute.

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Joule, ha stimato anche l’impatto in termini di posti di lavoro, contenimento delle temperature e salute dei cittadini: chiudere la filiera degli idrocarburi comporterebbe una perdita di circa 28 milioni di posti di lavoro che però verrebbero quasi raddoppiati con una nuova industria green da 52 milioni di lavoratori. Ridurre le emissioni avrà un notevole impatto anche sulla salute con una diminuzione delle vittime causate dalle inalazioni di carbonio e derivati: il rischio di tumori si abbatterebbe del 60%. Così come si potrebbero ridurre le temperature portandole 1,5° al di sotto delle medie preindustriali con prospettive migliori di quelle previste dagli Accordi di Parigi. Senza, poi, dimenticare che l’autonomia energetica potrebbe ridurre i conflitti e le tensioni per l’approvvigionamento di pozzi e petrolio. Nel medio lungo periodo il risparmio in termini di costi sanitari e climatici andrebbero a coprire gli elevati investimenti necessari per il passaggio all’energia rinnovabile. L’aspetto finanziario della faccenda sembra essere, ancora una volta, il tallone d’Achille di un cambiamento oramai inevitabile e che prima o poi avverrà. Speriamo prima.

Francesco Spiedo

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