« Per la sua importante produzione letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo. »

Questa fu la motivazione che, nel 1957, spinse l’Accademia di Svezia a consegnare il Premio Nobel per la Letteratura ad Albert Camus, scrittore algerino naturalizzato francese.  Era nato a Mondovi, a quel tempo dipendente dalla Francia, il 7 novembre del 1913 e fin da piccolo si era distinto per la caparbietà nello studio e per gli ottimi risultati scolastici: il suo professore di filosofia al liceo, Jean Grenier, lo spingerà a diventare scrittore dopo avergli consigliato la lettura de Il dolore di Andrè de Richaud: 

È una cosa difficile da dire. Mi ricordo comunque la scossa che mi provocò la lettura di un libro giovanile prestatomi da Jean Grenier: Il dolore, di André de Richaud. È necessario collocare questo piccolo choc nella vita di un uomo molto giovane.  A quel tempo, leggevo tutto, perfino Marcel Prevost. Ma Richaud, in Dolore, parlava di cose che conoscevo, ritraeva ambienti poveri, descriveva nostalgie che avevo provato. Capii, leggendo il suo libro, che anch’io avevo forse qualcosa di personale da esprimere.

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Nel dicembre del 1930 si verifica il primo attacco di tubercolosi, a quel tempo considerata fatale poichè la penicillina, sebbene fosse stata già scoperta, non era ancora in uso. Impedito dalla malattia a frequentare i corsi, sei anni più tardi si laurea in filosofia da privatista con una tesi su Sant’Agostino e Plotino.

E’ considerato un esponente della corrente filosofica dell’esistenzialismo (insieme a J.P. Sartre) per l’affermazione del valore dell’esistenza umana individuale e per temi dell’assurdo, dell’insensatezza e del vuoto che caratterizza la condizione dell’uomo.

Nel 1942 esce il romanzo Lo straniero, diventato un classico della letteratura contemporanea, che traduce perfettamente il concetto di assurdo che Camus andava delineando e che troverà perfetta esplicazione nel Il mito di Sisifo. Saggio sull’assurdo:

 Voglio che mi sia spiegato tutto o nulla. E la ragione è impotente di fronte a questo grido del cuore. Lo spirito, risvegliato da questa esigenza, cerca e non trova che contraddizioni e sragionamenti. Ciò che io non comprendo è senza ragione. Il mondo è popolato da questi irrazionali, ed esso stesso, di cui non capisco il significato unico, non è che un immenso irrazionale. […] Dal momento in cui viene riconosciuto, l’assurdo diventa la più straziante di tutte le passioni.

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Lo Straniero, edito da Bompiani

Lo Straniero ha come protagonista Meursault, che vive estraniato e indifferente al mondo e alle sue passioni. Un giorno, dopo un litigo, il protagonista inspiegabilmente uccide l’aggressore e viene condannato a morte. Non si discolpa, non si allarma, appare completamente impassibile. Egli è emblema perfetto dell’assurdo:

Mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d’odio.

Nel 1947 viene pubblicata La peste, che riscosse un grande successo presso il pubblico ottenendo anche il Premio della Critica. La peste è la metafora del male (un po’ come in Manzoni), e insieme allo Straniero si inserisce nel ciclo dell’assurdo.

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Albert Camus in questi anni mi è stato accanto mentre mangiavo, dormivo, scrivevo. Accanto mentre mi disperavo. Accanto mentre cercavo brandelli di felicità. Era accanto a me quando sono stato troppo frettoloso in un giudizio, consigliandomi di rallentare, di riflettere meglio, di ponderare le mie parole, di pesarle.  Era vicino, silenzioso, costante ombra, amico gradito a cui poter chiedere cose e da cui poter ancora ottenere risposte. È così che accade quando scegli di dialogare con uno scrittore, e non importa che sia morto quasi vent’anni prima che tu nascessi.Lo straniero l’ho letto da adolescente e sin da allora ho fatto una riflessione che ha accompagnato il ricordo di quella lettura.  Ho creduto di scorgere, e ancora vedo, nel sentirsi straniero, l’impossibilità di sentire fino in fondo il peso della responsabilità, perché la responsabilità è possibile sentirla solo quando si ha piena percezione, piena consapevolezza di ogni gesto, di ogni decisione. Ma se, invece, ciò che ti capita in gran parte avviene e basta, lo subisci, se non sei agente, ma sempre e solo agito, allora potrai andare al patibolo e le urla d’odio potranno fare da gradita compagnia. È la solitudine la gabbia in cui tutte le riflessioni di Albert Camus avvengono. Quella solitudine che è forse la vera carta universale di appartenenza al genere umano.(Roberto Saviano)

Il 4 gennaio del 1960 morì in un incidente d’auto, insieme al suo editore.

Maria Pisani

 

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