I risultati delle ultime elezioni in Germania parlano di uno stallo, prevedibile, e soprattutto di due verità difficilmente contestabili: la crisi dei cristiano-democratici di Angela Merkel e di una storica “prima volta” in cui i due grandi partiti tedeschi scendono entrambi sotto il 30%. Se Armin Laschet, leader della CDU, non può certo sorridere, Olaf Scholz, vice-cancelliere dell’attuale governo, Ministro delle Finanze e soprattutto voce dei socialdemocratici, ne può accennare più di qualcuno, forte del fatto di aver consegnato al suo partito il primato sulla scena politica tedesca dopo la batosta del 2017. Nonostante i numeri abbiano in un certo modo ridisegnato le gerarchie partitiche a livello nazionale, la differenza tra le due compagini è minima (25,8% SPD e 24,1% CDU) e la responsabilità della nascita di un futuro governo è interamente sulle spalle della capacità della SPD di Scholz e dei cristiano-democratici di Laschet di trattare con le altre formazioni politiche, in particolare i Verdi di Annalena Baerbock e i liberali (FDP) di Christian Lindner.
Il futuro della Germania è, dunque, appeso ad un filo. Per la prima volta la locomotiva europea si avvierà verso una coalizione di governo formata da tre partiti. Nel frattempo, Angela Merkel è costretta a rimandare il suo pensionamento, almeno fino al giuramento del suo successore, previsto per Natale. Ovviamente, l’incertezza tedesca si riverserà sugli umori dell’intera Unione Europea, la quale, nelle parole dei maggiori commentatori politici del continente, “può dirsi ampiamente soddisfatta“.
I motivi per sorridere, in effetti, non mancano: dall’ennesimo assalto fallito dell’estrema destra di AfD (che resta al 10%) alla certezza che la Germania resterà su un tracciato pienamente europeo. In tutto ciò, ci si chiede comunque, se gli assunti usciti dalle urne basteranno a colmare l’impatto che l’incertezza di una coalizione inedita, in cui dovranno convivere istanze diverse, avrà sugli affari europei.
Vincitori, vinti e un equilibrio necessario
Il primo dato che salta subito all’occhio delle ultime elezioni in Germania è sicuramente quello che riguarda l’Unione Cristiano-democratica di Armin Laschet e della cancelliera uscente Angela Merkel. Quel 24,1% è il peggior risultato mai registrato nella storia del partito. Basti pensare che alla tornata precedente, la CDU-CSU si fermò al 32,9% e in molti commentarono con toni fortemente negativi la prestazione, nonostante la debacle della SPD, ferma al 20,5%. Questa volta la CDU è riuscita a perdere anche in collegi sicuri come quello di Rügen, dove Merkel vinceva ininterrottamente dal 1990, oppure a Berlino, dove ha trionfato la SPD.
Ad essere sinceri, i presupposti per una debacle c’erano tutti, a partire proprio dal candidato. Laschet, al di là degli evidenti errori di comunicazione commessi nel corso dei mesi, non è mai stato un leader all’altezza del proprio compito, cioè quello di succedere ad Angela Merkel basando la campagna elettorale non solo sull’eredità del suo quindicennio ma anche sulla costituzione di una nuova identità da dare al partito e al Paese. Laschet, inoltre, è stato lasciato completamente da solo durante gli ultimi mesi, isolato dallo zoccolo duro del partito – che avrebbe preferito una virata più a destra – fino a quando non ci si è resi conto che così facendo si sarebbe andati incontro a una debacle senza precedenti (come poi è effettivamente accaduto).
Al contrario, la SPD è riuscita sia a colmare (e superare) il divario con gli alleati-nemici di sempre e sia a mettere un freno all’emorragia di voti succeduta al disastro elettorale del 2017. La nuova leadership di Olaf Scholz, attuale Ministro delle Finanze della Repubblica federale, ha colmato le insicurezze di un partito che per anni è vissuto all’ombra dell’ingombrante figura della cancelliera. La campagna elettorale, coraggiosa e intraprendente, ha sfruttato a pieno la fine di un’era per proporre un’alternativa credibile attraverso proposte accattivanti e “di sinistra”.
Mentre il quadro complessivo dei partiti maggiori si va componendo, con una SPD in grande forma e una CDU che, seppur in crisi, riesce a stringere i denti e a mantenere 196 seggi, le formazioni minori hanno acquistato una maggiore consapevolezza della loro importanza in un futuro governo di coalizione. Sia Scholz che Laschet, infatti, almeno per ora, hanno escluso una riedizione della vecchia alleanza e in questi giorni stanno puntando sul dialogo con i Verdi e i Liberali. Sia gli uni che gli altri – in particolare i Verdi – dopo il fallito assalto alla cancelleria, faranno valere il proprio potenziale di coalizione per entrare in un governo che possa offrire loro maggiori garanzie. Scholz non ha nascosto di aspirare alla cancelleria con il sostegno di una inedita coalizione a tre formata dalla SPD, dai Verdi e da FDP. Ciò che per Scholz e la SPD rappresenta un’alternativa, per Laschet e la CDU rappresenta, invece, l’unica speranza per non restare fuori dalla cancelleria dopo un quindicennio di presenza fissa.
Tra gli altri attori della scena politica tedesca spicca AfD che, seppur con il 10,3% ottiene una flessione rispetto al 12,6% del 2017, risultano tra i più votati in molte delle regioni della Germania dell’Est, quella che una volta era sotto il controllo dell’Unione Sovietica. Esce sconfitta dalle urne la sinistra di Die Linke, data dai sondaggi intorno al 10% e che invece si accontenta del 4,9% che, in teoria, non le garantirebbe l’accesso al Bundestag per cui è prevista la soglia di sbarramento del 5% ma che in realtà può accedervi solo grazie alla vittoria in tre collegi uninominali.
Appare evidente che in una panorama politico così frastagliato, sarà molto difficile per i partiti maggiori concludere un accordo che possa soddisfare il proprio elettorato. A fronte della possibilità di rivendicare la cancelleria a causa della vittoria elettorale, Olaf Scholz dovrà evitare di far deragliare le trattative che potranno rendere possibile la sua ascesa al cancellierato. Nel 2017 le trattative durarono diversi mesi anche a causa della volontà di Angela Merkel di virare verso la coalizione “Giamaica”, cioè composta da CDU, Verdi e Fdp. In quel caso furono questi ultimi a far saltare il tavolo a causa della distanza siderale proprio con Die Grünen.
Da allora sono passati ben quattro anni ma, a giudicare dai presupposti, le distanze restano. I Verdi sono sicuramente il partito che spinge per rivedere ciò che agli occhi dei liberali risulta un assunto intoccabile, cioè il patto di Stabilità, tanto che in campagna elettorale si è parlato addirittura di sospendere o alleggerire il pareggio di bilancio in Germania. Un tema che sicuramente sarà al centro delle trattative in corso.
I liberali, dal canto loro, hanno mal digerito la sospensione fino al 2023 “causa pandemia” e propendono per il ritorno del rigore nel tempo più stretto possibile. Un altro tema potenzialmente esplosivo è sicuramente l’ambiente. I liberali restano fedelmente schierati al fianco delle industrie, proprio come la CDU, mentre i Verdi hanno obiettivi più ambiziosi come l’uscita dal carbone (le cui emissioni, nonostante tutto, sono aumentate negli ultimi anni) e lo stop alle auto con motore a scoppio.
Nel caso in cui SPD, Verdi e liberali dovessero dal luogo a un governo, anche Olaf Scholz sarà costretto a dover fare delle rinunce e ciò potrebbe sconvolgere il programma con cui ha trionfato alle elezioni. In particolare, i liberali vogliono il Ministero delle Finanze e sicuramente non appoggeranno, a meno di contropartite di egual valore elettorale, le tasse sui redditi alti, l’introduzione della digital tax e la patrimoniale.
L’Europa può sorridere…ma non troppo
Se le istituzioni comunitarie e quelle dei Paesi limitrofi hanno tirato un sospiro di sollievo di fronte alla vittoria del fronte europeista e alla sconfitta dell’estrema destra euro-scettica di AfD, il futuro non è certo scevro di dubbi circa la tenuta dell’equilibrio politico della Germania e, di conseguenza, dell’Europa stessa. Molto dipenderà dalla piega che prenderanno i negoziati per la composizione della prossima compagine di governo. L’inedita coalizione a tre e il primo esperimento di questo tipo nella locomotiva teutonica sono al contempo un rischio e un’opportunità non solo per la Germania e per Scholz ma anche per la stessa UE.
Sono tanti i dossier sul tavolo, in un periodo di vero fervore: dalla posizione sul Patto di Stabilità, alle politiche ambientali, alla difesa comune – che vede Francia e Italia in prima linea – e soprattutto al rapporto con la Cina su cui da tempo l’UE sta ritardando una presa di posizione in nome di un’affinità commerciale troppo onerosa da lasciar andare. Si tratterà di posizioni cruciali, le quali dipendono fortemente dall’orientamento politico del prossimo governo e soprattutto dall’ascendente che i liberali avranno sullo stesso. Ad esempio, nel caso del Patto di Stabilità sarà importante comprendere il ruolo rivestito da Lindner, se dentro o fuori il ministero delle Finanze. Una condizione che interesserà anche l’Italia, visto il sostegno del leader dei liberali alle politiche di austerità.
In prospettiva, il grande equilibrio prodotto dalle urne tedesche aprono una fase “di vuoto” della leadership europea. Con la fine dell’era Merkel e l’apertura di una convivenza inedita, Francia e Italia, con la prima chiamata alle urne la prossima primavera, saranno chiamate ad assumere un ruolo decisivo nella preparazione dei prossimi dossier che non potranno essere rimandati al prossimo anno. L’opportunità è ghiotta, non c’è dubbio, soprattutto per il Belpaese, da decenni insofferente allo strapotere politico dell’asse Parigi-Berlino e cronicamente incapace di sfruttare le possibilità che gli si presentano.
Donatello D’Andrea