Recensione di You 2, la serie Netflix che racconta le manie e i disturbi di Joe Goldberg, un killer senza scrupoli che lotta contro la sua natura.
You prende un po’ alla sprovvista. Se vi capita di entrare in contatto con il prodotto tramite trailer e poster, sembra un serial sugli stalker e sulla prevedibile degenerazione di un amore malato. Invece, You, si rivela qualcosa di diverso, di molto più sanguinoso. Un prodotto ibrido e derivativo, un po’ Dexter, un po’ Panic Room, con qualche spunto filosofico alla Death Note, dal cui incontro si ottiene una mistura interessante e originale.
Joe, il protagonista, infatti, non è soltanto uno stalker che perseguita le donne che dice di amare. È uno spione, un manipolatore, un violento. Un serial killer.
Joe è un mostro. Un mostro di quelli che ne è piena la letteratura, la fiction, la realtà, ma è un mostro umanizzato, affascinante, a tratti desiderabile grazie alla scrittura coraggiosa e grazie al tenebroso magnetismo dell’attore Penn Badgley che, dopo Gossip Girl, si è ritagliato uno spazio ben definito nella costellazione televisiva per ragazzi.
You: chi è Joe Goldberg
Joe (o Will, visto il cambio d’identità avvenuto forzatamente nella seconda stagione), dietro la maschera di bravo ragazzo ordinario, nasconde una mente affetta da un Disordine da Personalità Antisociale. Ha una sua logica, una sua morale, un suo codice da cui deriva una coerenza nelle sue azioni. Ma soprattutto, viene dotato di un retroterra traumatico con cui viene facile abbozzare, per cui lo si arriva addirittura a scagionare per i suoi crimini efferati fino a che…
Insomma parliamo di un sociopatico la cui scrittura spicca per coraggio perché tende a mostrare i punti di luce, i ripensamenti, di un’anima nera. Ma questa stessa cura nel presentare il cosmo morale e i riferimenti cognitivi di Joe – e qui veniamo al motivo per cui comunque, You, congenitamente è una serie naif – non la ritroviamo nei personaggi secondari o di contorno. Pensiamo alle scritture di Beck (a volte davvero incomprensibile), quella di Peach e Ron nella prima stagione (chiuse nello stereotipo) quelle improbabili e irrazionali di Candace nella seconda stagione. You per lunghi tratti è un One man show, è Joe, infatti, con le sue parole, i suoi pensieri e le sue azioni – le sue contraddizioni! – a tenere in piedi tutta la storia attirando lo spettatore nella sua tela, così come fa con le sue prede.
Joe è un cubo di rubik, che lo spettatore spera di risolvere e con cui spera di dissetare quell’innata morbosità insita nel suo animo. Più vicino al Punitore che a Bateman di American Psycho, ma a cui, Joe, deve qualcosa ad entrambi. La motivazione che da a se stesso per giustificare i suoi crimini è la convinzione che le sue vittime “meritino di morire” ricalcando il codice personale del Punitore (senza la mancata elaborazione del lutto), ma allo stesso tempo è un killer metodico, freddo e spietato come Bateman. Ma la vera, profonda, ragione dei suoi atti criminali risiede nel suo oggetto del desiderio, nella sua ossessione, nella sua Lolita: ora Candace, ora Beck, ora Love. Un Humbert Humbert attratto dalle sue coetanee, insomma.
You 2: una narrazione che resta coinvolgente
You mostra con ancora più spudoratezza le sue debolezze nella seconda stagione: le forzature di trama, le ingenuità nella sceneggiatura, la caratterizzazione inverosimile di alcuni personaggi, le situazioni ai limiti della fantasia come il protagonista che si intrufola e gira per le case delle potenziali vittime senza che nessuno lo becchi come un fantasma o la facilità con cui sfugge ai crimini più efferati senza grandi apprensioni (i poliziotti di New York e Los Angeles, in You, sono il corrispettivo degli Stormtrooper di Star Wars in quanto ad intuizione ed efficacia).
La sceneggiatura, inoltre, non è fluida ed è tutt’altro che bilanciata – si gettano troppi eventi nel pentolone facendoli schizzare come il ragù della domenica in cottura senza coperchio.
Eppure ciò non scalfisce, se non minimamente, l’ipnotismo del prodotto che rimane di un buonissimo livello se guardiamo alla regia, alla fotografia (e quindi anche all’estetica), alla prova recitativa del protagonista e alla narrazione che resta coinvolgente, immediata e tiene lontani dalla noia.
Speriamo di aver reso bene l’idea con questa recensione di You.
La serie, in fondo, è il corrispettivo filmico del BigMac del McDonald.
Sai che il giorno dopo ti farà male e ha quell’inconfondibile sapore industriale. Ma la divori lo stesso, con gusto.
Perchè, diciamolo, a volte un panino del fast food restituisce più godimento di un taglio di carne gourmet.
Enrico Ciccarelli