La sconfitta con la Spagna dello scorso sabato ha inevitabilmente aperto la strada ad innumerevoli polemiche, ma soprattutto a dubbi e incertezze legate ad una partecipazione, a questo punto, quanto meno dignitosa dell’Italia ai Mondiali di Russia 2018.
A Madrid abbiamo assistito al crollo (o al definitivo mancato decollo) di una squadra gestita e costruita male, priva di spunti e di un’organizzazione di gioco, inerme di fronte all’assalto della corazzata nemica che sembrava sbeffeggiare l’avversario ed attendere solo il momento giusto prima di sconfiggerlo in maniera definitiva. Non è stata una sconfitta come le altre, non si è trattato di un singolo eccezionale incidente di percorso, perché tutto ciò è il penoso risultato di quanto si è cercato di costruire in un anno di nuova gestione.
Gli schemi di Gian Piero Ventura non sono stati assimilati alla perfezione dalla squadra, verosimilmente a causa della loro inattuabilità dovuta alle particolari caratteristiche di alcuni giocatori, le quali, in tal modo, finiscono con il rimanere inespresse. Infatti, il potenziale è l’unica vera certezza di questo gruppo: un mix fatto di giovani promettenti e di esperti senatori.
Ma al di là di quelle che sono le cause del prevedibile/inevitabile tracollo degli Azzurri, c’è da chiedersi se, esprimendo il gioco e il carattere che si è visto al Bernabeu, l’Italia può competere con le future rivali del Mondiale. La risposta è indubbiamente un no, secco. Piuttosto, andrebbe data risposta ad un’altra domanda: quali possono essere le chiavi per un Mondiale disputato in maniera competitiva?
1. Ritrovare immediatamente serenità e coesione. Ma anche “cazzimma”.
Su una cosa Ventura ha ragione: “Se una partita può incidere sulla nostra autostima vuol dire che non siamo competitivi”. L’equilibrio mentale, la serenità dello spogliatoio, l’appoggio e la stima reciproca sono elementi fondamentali per la stabilità e la durata di un gruppo, che, al contrario, rischierebbe di sfasciarsi a causa della creazione di gruppetti e di figurine alla ricerca di celebrità. Tutti ricordiamo gli eventi legati alla Nazionale di Prandelli e alla difficile gestione di alcune sue pedine – in primis Balotelli -, fattori che contribuirono non poco al collasso degli Azzurri in Sudafrica. Pertanto, andare avanti uniti e decisi è un imperativo, ma tutto sarebbe inutile in assenza di grinta e consapevolezza, che sono mancate nello scorso match. L’entrata in campo è stata da brividi: giocatori poco decisi, impauriti, alla ricerca di bizzarre soluzioni con il pallone tra i piedi. Ancor più da brividi la timidissima reazione, affidata ad un unico colpo di testa di Belotti, fatto apparire come “l’occasione che poteva cambiare la partita a favore dell’Italia”.
C’è bisogno di forza, di consapevolezza di essere una squadra competitiva. Rispetto a ciò, l’aspetto legato al gioco è secondario. Le partite, anche e soprattutto quelle dei Mondiali, si vincono spesso con la forza del gruppo e con la voglia, e Germania 2006 ne è la conferma: un gruppo dotato di una determinazione e di una coesione da vendere che affrontava qualsiasi partita come se fosse l’ultima.
2. Un sistema di gioco adatto a questi giocatori…o dei giocatori adatti a questo sistema di gioco.
È inutile cercare di evitare lo scomodo argomento del modulo che Ventura si ostina ad utilizzare da un anno a questa parte e che è quello che ha caratterizzato la sua recente carriera da allenatore. Così come superfluo è precisare che, come strutturato, questo sistema di gioco non è l’ideale.
È legittimo, anzi doveroso, che un allenatore cerchi a tutti costi di portare avanti le sue idee all’interno di una squadra, a maggior ragione se si pensa che una loro assimilazione possa produrre risultati positivi per anni. La Selección spagnola, proprio lei, si fonda su una filosofia di gioco basata sul fraseggio e sugli ascambi rapidi da ormai decenni, e i vari interpreti del campo che man mano si succedono nel corso degli anni riescono ad integrarsi in maniera sempre perfetta negli schemi di gioco e ad apprendere con una naturalezza disarmante il sistema.
Tuttavia, l’obiettività nell’ammettere un malfunzionamento di un sistema che si sta cercando di introdurre è qualcosa che va al di là addirittura dell’assunzione di responsabilità per una partita persa. I giocatori che il tecnico suole mettere in campo con il 4-2-4 non sono adatti a ricoprire le posizioni in cui vengono ubicati, né di soddisfare con effettività ed efficacia i compiti che gli vengono assegnati. Tra le tante cose, oltre alla inferiorità numerica in mezzo al campo, in fase offensiva, quando i nostri centrocampisti erano portatori di palla, i quattro attaccanti sembravano inchiodati tutti sulla stessa linea, incapaci di smarcarsi e di creare spazi, a conferma della difficoltà di apprendimento o di interpretazione del modulo. Pertanto, considerata la indubbia permanenza di Ventura sulla panchina anche al Mondiale di giugno, le strade sono due: o si cerca di utilizzare delle pedine leggermente più appropriate ad interpretare i sistemi dell’allenatore, altrimenti l’altra soluzione corrisponde inevitabilmente al cambio di modulo. In tale eventualità il ritorno alla amata ed ormai consolidata difesa a tre faciliterebbe il discorso.
3. Ricostruire la solidità difensiva.
Appunto, la difesa fu il nostro punto di forza ai Mondiali del 2006, fu il fattore determinante per la vittoria finale. L’Italia di Lippi subì appena 2 reti in tutta la competizione (una per autogol, l’altra su rigore). Ad oggi, la Nazionale di Ventura ha subito 7 reti in 7 partite, troppe. Troppe per un girone composto da squadre come Macedonia e Israele. Troppe se si pensa che essere competitivi a Russia 2018 significa doversi confrontare, oltre che eventualmente con la Spagna, con altre corazzate del calibro di Germania, Francia, Brasile. Troppe per una squadra che fino all’era Conte faceva ancora della difesa il suo punto di forza e metteva in difficoltà la stessa Roja o la Germania.
4. Valorizzare i talenti e gli spunti di Insigne e Verratti.
Il successo di una Nazionale dipende anche dalle giocate individuali dei suoi uomini migliori. Questa Nazionale ha moltissimi talenti di giovane età, tra i quali ve ne sono alcuni ormai consacrati quali Marco Verratti e Lorenzo Insigne.
Sebbene sia noto che il primo non possegga la stessa efficienza e la stessa magia di Andrea Pirlo, va detto che della sua tecnica e dei suoi spunti la Nazionale ha bisogno. Per questo motivo sarebbe opportuno evitare di rilegarlo in una posizione che lo vede agire troppe volte da incontrista, cercando, al contrario, di metterlo in condizione di esprimere al meglio le sue qualità di impostazione, affiancandogli almeno due centrocampisti in grado di liberarlo dalle marcature avversarie. Una pedina importante come lui non può essere sprecata per correre dietro ai centrocampisti avversari, specie se questi sono Isco, Iniesta o Busquets.
Quanto al secondo talento, capace di creare azioni da gol dal nulla e di mettere innumerevoli volte i compagni in condizione di fare gol, una soluzione che gli concedesse più spazio e gli consentisse di gestire con più continuità la palla e di giocare in una posizione maggiormente vicina all’area di rigore avversaria sarebbe l’ideale, come dimostrato dalla sua ormai innegabile indispensabilità nell’undici del Napoli di Sarri. Con lo scugnizzo napoletano in forma ci sarà modo per attaccanti come Belotti o Immobile di esprimere tutto il loro potenziale sotto porta.
Insomma, a prescindere da quella che, in ogni caso, sarà una immaginabile qualificazione ai Mondiali, data la portata non irresistibile del futuro avversario ai play-off, l’interrogativo vero riguarda la solidità del gioco e della squadra, cosicché, alla luce di ciò che si è visto finora, il lavoro che attende Gian Piero Ventura è immane. Tuttavia, restano ancora 9 mesi pieni ed i margini per rimettere le cose a posto ci sono. Il tempo è galantuomo…i Mondiali no.
Amedeo Polichetti