Sos Solitudine
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«La morte non arriva con la vecchiaia, ma con la solitudine.»
(Gabriel Garcia Marquez)

Sposare il pensiero di Garcia Marquez è inevitabile, soprattutto dopo una pandemia che ha stravolto la nostra quotidianità e le nostre abitudini, costringendoci a una “distanza di sicurezza” causa non solo di una distanza fisica, bensì anche relazionale ed emotiva.
Essere lontani non necessariamente implica il sentirsi distanti, talvolta però ne può essere diretta conseguenza. È così che, giorno dopo giorno, si fa largo nella propria giornata un mostro invisibile chiamato solitudine.
Oggi la solitudine – che non ha età, sesso, né cultura – è fortunatamente riconosciuta come malattia a tutti gli effetti, alla base di una serie di problematiche a livello psicologico (ansia sociale, distorta visione del sé, senso di inadeguatezza) e fisico (aggrava possibili situazioni cliniche preesistenti, aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, a lungo andare può indurre la persona ad assumere atteggiamenti autolesionistici). Un isolamento non desiderato che assume le sembianze di una, seppur invisibile, prigione: questa è la solitudine.
Tale fenomeno riguarda in particolar modo gli anziani. Secondo una ricerca Istat condotta nel 2018, «circa il 38,3% delle persone di età superiore ai 75 anni afferma di vivere in solitudine», di non avere una rete amicale e di non avere cari che possano accudirli in caso di bisogno. C’è chi, come l’Olanda, ha pensato a una possibile soluzione: casse speciali, per file a lungo termine.

Dati percentuali sul problema della solitudine
Fonte: Social Observatory of “La Caixa”

Essendo un problema diffuso e sempre più dilagante, tanto da divenire un’emergenza sociale, nel 2018 è stata istituita la Giornata Nazionale contro la solitudine degli anziani in data 15 novembre. Il fine ultimo della proposta avanzata dall’Associazione Italiana di Psicogeriatria (AIP) consiste nel sensibilizzare la collettività nei confronti di tale incresciosa circostanza, nel tentativo di ripensare la società mediante interventi volti a supportare coloro che necessitano di aiuto: la persona sola ha bisogno di poter esprimere la propria personalità anche all’interno di un gruppo, e quindi deve essere inserita in una rete. Appare dunque fondamentale il recupero di una cultura umanitaria incentrata sul rispetto reciproco e sulla collaborazione, e la creazione di un contesto inclusivo e adattabile alle esigenze di tutti.
A tal proposito, un esempio di come affrontare siffatta emergenza arriva dall’Olanda. In prima battuta è stato istituito un numero verde attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per tutti coloro che in qualsiasi momento dovessero avvertire il peso della solitudine; in un secondo momento, ha preso vita l’innovativo progetto facente parte del programma del Ministero della Salute olandese “One Against Loneliness“.
Il progetto, che ha coinvolto la catena di supermercati “Jumbo”, ha previsto l’apertura di circa 200casse lente” (Kletkassa) ove i clienti possono fermarsi a conversare con i cassieri senza avvertire la pressione delle lunghe code che, persona dopo persona, si verrebbero a creare nelle comuni casse.
Colette Cloosterman-Van Eerd, CCO di Jumbo, afferma: «Molte persone, specialmente gli anziani, possono sentirsi sole. Come catena di attività familiari e supermercati, svolgiamo un ruolo centrale nella società. I nostri negozi sono un importante luogo di incontro per molte persone e vogliamo giocare un ruolo nella riduzione della solitudine.»

L’idea è dunque quella di sostituire l’umanità alla velocità, il dialogo al silenzio, il sorriso al capo chino. Il modello olandese è pertanto stato adottato altresì dalla Scozia, dove la catena Tesco ha istituito delle “casse speciali” rivolte a coloro che sono affetti da patologie e che dunque necessitano non solo di tempo, ma anche di tranquillità.
In Italia, al contrario, le tradizionali casse stanno cedendo il posto alle scorrevoli “fai da te”, eliminando così ogni traccia di qualsivoglia rapporto umano.

Gli esempi citati dimostrano come per poter cambiare la realtà sia necessario innanzitutto volerlo. Ma desiderare il cambiamento non è sufficiente. Nel caso specifico, si deve cercare di trasformare lo sguardo che viene rivolto alla figura dell’anziano: da soggetto passivo a risorsa per la collettività intera. L’appartenenza a una rete sociale può difatti giovare non solo all’anziano che trae beneficio dalla vicinanza socio-emotiva, e che riesce inoltre a percepirsi come parte attiva dei processi decisionali. L’appartenenza a una rete giova a ogni singolo membro del gruppo, anche a coloro che vedono la solitudine come una realtà distante.
Se volessimo prendere in prestito una particolare espressione dal sapere educativo, potremmo affermare che nella rete sociale si viene a creare un processo di positiva “contaminazione”, di “co-evoluzione“, dove l’individualità e la solitudine lasciano il posto alla relazionalità, a un abbraccio di corpi, pensieri e valori, di culture e anime.

Prevenire la solitudine è possibile. Contrastarla? Anche.
Volontà, impegno, costanza: queste le parole chiave del cambiamento.

Aurora Molinari

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