L'inquinamento da PM 2.5 aumenta la mortalità dei positivi al COVID 19
Immagini originali: pexels.com

Ormai è assodato: la lotta all’inquinamento atmosferico rappresenta uno degli obiettivi fondamentali da raggiungere nell’ambito della tutela dell’ambiente. Numerosi sono ormai gli studi scientifici che accertano il gravoso impatto che lo smog ha sulla salute umana. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, in Italia si registrano più di 50.000 morti premature all’anno dovute all’esposizione prolungata agli ormai famigerati PM2.5, le polveri sottili con una dimensione pari o minore ai 2,5 micron (µm). La cifra sale a 70.000 se si contano anche le vittime causate dall’esposizione a lungo termine all’ozono (O3) e al biossido di azoto (NO2). Penetrando in profondità nell’organismo umano, le piccole particelle inquinanti possono aumentare la frequenza dei disturbi alle vie respiratorie. Tosse cronica, bronchite, infezioni all’apparato respiratorio sono solo alcune delle patologie causate dal particolato atmosferico. In un contesto mondiale in cui l’inarrestabile avanzata del nuovo coronavirus indebolisce giorno dopo giorno le fondamenta su cui è eretta la società moderna, diventa quindi necessario valutare se e quanto l’inquinamento atmosferico aumenti gli effetti negativi sulla salute della COVID-19.

L’esposizione ai PM2.5 aggrava la pandemia di COVID-19?

Prendendo in esame l’inquinamento causato dalle concentrazioni annuali di PM2,5, NO2 (biossido di azoto) e SO3 (anidride solforica) registrate in 355 comuni olandesi nel periodo 2015-2019, un team di ricercatori guidato dal professore di economia ambientale presso l’Università di Birmingham Matthew A. Cole, ha esaminato la relazione tra la prolungata esposizione a tale inquinamento e il COVID-19. I risultati dimostrano che l’inquinamento causato dal rilascio di NO2 nell’atmosfera comporta un significativo aumento dei casi COVID-19 e dei decessi inerenti la patologia ma non influisce in modo considerevole sui ricoveri per coronavirus. Diverso il caso delle emissioni di SO3 per le quali non si riscontrano effetti negativi statisticamente rilevanti.

«Concentrandoci inizialmente sui coefficienti di inquinamento stimati, notiamo che le concentrazioni di PM2.5 hanno una relazione positiva e statisticamente significativa sia con casi di COVID-19 che con i ricoveri ospedalieri e i decessi a essa collegati». Secondo lo studio pubblicato su Springer Link, l’aumento di 1 µm/m 3 di concentrazioni di PM2.5 in un singolo comune è associato a un accrescimento dei casi COVID-19 (9,3 in più), dei ricoveri in ospedale (3 in più) e dei decessi per coronavirus (2,3 in più).

L'inquinamento da PM 2.5 aumenta la mortalità dei positivi al COVID-19
Riepilogo degli effetti marginali stimati inerenti l’inquinamento da PM2.5 e NO2 e i casi COVID-19
Fonte: link.springer.com

Secondo i ricercatori lo studio contribuirà ad ampliare la nascente letteratura scientifica atta a esaminare i possibili collegamenti tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico e il COVID-19. L’evidente legame tra questi due fattori, avvalorato da ulteriori rapporti, ha portato gli scienziati ad affermare che le persone che vivono in luoghi in cui il suddetto inquinamento persiste da molti anni dovranno affrontare un rischio più elevato di ospedalizzazione e morte dopo aver contratto il nuovo coronavirus. Dichiarazioni che, proprio perché molto preoccupanti, dovrebbero rappresentare un incentivo politico nella lotta alla crisi ambientale.

Secondo il team di studiosi guidato da Matthew A. Cole, la ricerca sopra analizzata dovrebbe avere almeno due importanti implicazioni politiche: «L’impatto della scarsa qualità dell’aria sulla morbilità e mortalità del Covid-19 rappresenta un costo aggiuntivo considerevole e inaspettato dovuto all’inquinamento atmosferico. I nostri risultati suggerirebbero quindi che potrebbe essere necessaria una regolamentazione più rigorosa dell’inquinamento atmosferico. In secondo luogo, i nostri risultati dovrebbero rivelarsi utili ai funzionari della sanità pubblica segnalando dove le successive ondate di Covid-19, o addirittura future pandemie di malattie respiratorie, potrebbero colpire più duramente». Nonostante l’utilizzo di un’ampia gamma di dati e di diversi metodi di stima, gli scienziati affermano che le evidenze statistiche in questione potranno essere ulteriormente confermate solo da dati dettagliati a livello individuale utili a fornire informazioni sul nuovo coronavirus e da un’ampia gamma di altre caratteristiche individuali.

L’importanza delle politiche ambientali contro l’inquinamento dell’atmosfera

Il 4 novembre 2020, esattamente tre mesi dopo la pubblicazione dello studio sopra analizzato, sulla rivista scientifica Science viene divulgata una ricerca atta a valutare la correlazione tra inquinamento atmosferico e COVID-19 negli Stati Uniti. I ricercatori del Dipartimento di biostatistica dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health e del Dipartimento di scienze dei dati del Dana-Farber Cancer Institute, hanno scoperto che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento da PM2.5 è positivamente associata a livelli crescenti di mortalità da COVID-19. Un nuovo studio che dunque parrebbe confermare gli esiti dell’analisi condotta nei Paesi Bassi e che sottolinea altresì l’importanza di urgenti riforme politiche inerenti il miglioramento della qualità dell’aria.

Eppure, stando alle decisioni contenute nel registro delle infrazioni adottate dall’Unione Europea utili a garantire la corretta applicazione del diritto comunitario a beneficio dei cittadini e delle imprese, si apprende che l’obiettivo “inquinamento zero” facente parte del Green Deal europeo è ancora lontano dall’essere raggiunto. Tra gli Stati oggetto di procedura d’infrazione troviamo anche il Bel paese, nazione in cui i valori limite per i PM2.5 sono costantemente superati da almeno cinque anni. Secondo l’UE «Le misure previste dall’Italia non sono sufficienti a mantenere il periodo di superamento il più breve possibile» e per tale motivo «La Commissione ha deciso di inviare una lettera di costituzione in mora all’Italia, che dispone ora di 2 mesi per rimediare alle carenze individuate».

A tal proposito Greenpeace ha individuato tre principali soluzioni utili alla riduzione dell’inquinamento dell’atmosfera:

  • Energia: quando bruciato, il carbone rilascia elementi come mercurio e arsenico e piccole particelle di fuliggine nell’atmosfera. È quindi chiaro che una rapida riconversione energetica non può che passare dall’immediato abbandono di tale combustibile fossile quale fonte di energia;
  • Mobilità: Oltre alla CO2 emessa, le automobili sono responsabili del rilascio di gas quali il biossido di azoto (NO2), elemento inquinante che danneggia la salute umana. L’incentivo all’acquisto di auto elettriche, la costruzione di infrastrutture dedicate alla mobilità sostenibile (bici, monopattini elettrici etc.), il rafforzamento dei trasporti pubblici sono solo alcune delle soluzioni atte a evitare l’uno delle auto e al contempo utili al miglioramento della qualità dell’aria;
  • Comunità: la lotta all’inquinamento atmosferico e più in generale alla crisi ambientale passa inevitabilmente dalle decisioni dei singoli individui che hanno il dovere di creare quella pressione necessaria all’adozione di misure per la tutela della natura da parte del mondo politico.

Progetti come l’iSCAPE, un piano di ricerca e innovazione finanziato dall’UE e atto a promuovere il controllo della qualità dell’aria e delle emissioni di carbonio nelle città europee tramite lo sviluppo di strategie di bonifica, interventi politici e iniziative di cambiamento delle abitudini, hanno fornito prove chiare sull’efficacia delle infrastrutture verdi nella lotta all’inquinamento dell’aria. Il suddetto progetto ha evidenziato inoltre che la rivoluzione verde parte proprio dalle comunità e da progetti a basso costo come il corretto posizionamento di semplici siepi mescolate ad alberi che porterebbero a una riduzione dell’esposizione al particolato fino al 50%.

In un periodo in cui l’assenza totale di misure politiche ambientali radicali è pagata a caro prezzo dai cittadini, le piccole o grandi comunità sono chiamate alle “armi”. Informarsi, diventare consapevoli della relazione esistente tra natura e salute umana affinché vengano difesi quei diritti universali dell’uomo e della natura che la politica mondiale, a causa di una costante genuflessione in favore degli interessi dei grandi capitalisti, ha messo in secondo piano in nome di una fallimentare e miope crescita economica. L’avvento della COVID-19 ci ha insegnato che il sistema economico capitalista è molto più fragile di quanto credessimo e che la natura non ha bisogno dell’uomo mentre l’uomo ha un urgente bisogno della tutela ambientale. Solo il futuro potrà dirci se la specie umana avrà imparato la lezione o se avrà intrapreso il definitivo viaggio verso la fine della società come la conosciamo.

Marco Pisano

Sono Marco, un quasi trentenne appassionato di musica, lettura e agricoltura. Da tre e più anni mi occupo di difesa ambientale e, grazie a Libero Pensiero, torno a parlarne nello spazio concessomi. Anch'io come Andy Warhol "Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare". Pace interiore!

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