Sono trascorsi 54 anni da quando il 4 gennaio 1967 i Doors pubblicavano il loro primo album. Siamo nella Los Angeles degli anni 60 pervasa dai movimenti di contestazione giovanile, dalle marce contro la guerra nel Vietnam, dalla generazione Hippy, i cosiddetti figli dei fiori di “peace and love”. Siamo dunque in una città viva di fermenti culturali di ogni tipo e in cui la musica fu degna colonna sonora, accompagnando i sogni di un’intera generazione.
É la stagione dell’acid-blues dei Jefferson Airplane e dei Grateful Dead, del rock decadente dei Velvet Underground, del Blues di new Orleans e del più rivoluzionario album dei Beatles, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. I Doors con il loro primo album apparvero subito come qualcosa di assolutamente nuovo, un sound non ascrivibile a nessun genere allora in voga, lontano dalle mode del tempo, ma assolutamente folgorante per la genialità folle e poetica di Jim Morrison e delle atmosfere blues psichedeliche delle tastiere di Ray Manzarek, primo nucleo della nascente band a cui si aggiunse la chitarra di Robby Krieger , autore del brano più cult dell’album “Light My Fire” e le percussioni di John Desmore, il solo della band che cercò di frenare gli eccessi autodistruttivi di Morrison.
L’album fu come una fucilata al petto, al cuore della musica del tempo per i suoi testi sensuali, visionari, decadenti a volte oscuri che parlano di droga, morte, rivoluzione e per il suo sound che ondeggia tra atmosfere rock blues, jazz e una vena psichedelica di struggente malinconia. Il successo fu immediato, l’album, scalando immediatamente le classifiche americane, rivelò al mondo una band destinata a diventare una vera e propria icona della musica rock di tutti i tempi.
Eppure i Doors impiegarono appena due settimane di registrazione per la storica etichetta “Elektra”, il loro disco d’esordio si apre con con “Break on Through”, un brano di appena 2 minuti e mezzo che si dimostra immediatamente un inno generazionale, in cui viene predicata la ricerca della libertà con un insolito assolo di organo e con note volutamente fuori posto accompagnate dalla voce graffiante e suadente di Jim Morrison. L’ album si chiude con “The End”, assoluto capolavoro reso ancor più celebre da Francis Ford Coppola che la volle come colonna sonora del suo epico film “Apocalypse Now”. In questo brano Morrison dà libero sfogo a tutta la sua vena poetica e visionaria in cui riesce a far convergere le suggestione dei cosiddetti poeti decadenti maledetti da cui era sempre stato attratto e affascinato.
Morrison e Manzarek furono le due principali anime della band, ma due anime completamente diverse: Morrison figlio di un alto ufficiale della Marina americana, carismatico, anticonformista e con una vena poetica struggente ma anche fragile e debole, un’anima complessa, inquieta a tratti autodistruttiva testimoniata dal tragico epilogo della sua esistenza; Manzarek certamente con meno fascino, ma più quadrato e fornito di solide basi musicali grazie alla sua esperienza di pianista di impostazione classica, ma amante del Jazz e del blues, con studi in legge e autore di tre cortometraggi.
La storia leggendaria che sempre accompagna le icone della musica racconta che i Doors nacquero sulla spiaggia di Venice, in California quando Morrison declamò a Manzarek il testo di una poesia appena composta, “Moonlight Drive” e che insieme decisero di chiamare la band The Doors richiamandosi al poeta William Blake che aveva scritto: quando le porte della percezione sono aperte, le cose appaiono come veramente sono, infinite”.
Francesca Meglio
…e comunque sono 54… ?
Articolo stupendo! Complimenti!